Quando ho iniziato questo progetto, dopo 26 anni di esperienza da giornalista, ho subito pensato che il mobile journalism doveva avere una dignità di cultura. Per averla doveva essere accolto nelle aule delle università. È stato così: importantissimi atenei come la Iulm di Milano o l’Università di Pavia, mi hanno accolto tra i docenti delle loro scuole di perfezionamento, management e comunicazione. Ho avuto l’onore di servire straordinari e appassionati studenti e ho provato la grande emozione di vederli agire in brevissimo tempo con gli strumenti del mojo, con risultati sorprendenti. Sono stato, lo scorso anno, anche ospite della scuola di giornalismo della Lumsa, invitato a tenere una lezione mojo dal collega Andrea Iannuzzi
Il progetto è andato oltre.
Ho incontrato tanta gente, ho fatto molti corsi ed eventi pubblici, ho partecipato alle più importanti manifestazioni internazionali sulla materia e sono stato attore co-protagonista di Mojo Italia, il primo evento italiano dedicato al mobile journalism. Nel frattempo ho continuato il lavoro per far approdare il mojo anche dentro una casa specificamente giornalistica. La prima Scuola di Giornalismo riconosciuta dall’Ordine che ha deciso di aprire le porte alla materia è stata proprio la Lumsa, per il suo master biennale. Il progetto, quindi, è andato oltre e domani approderà nell’aula del master romano. Grazie a Carlo Chianura, responsabile del master, a Gianluca Cicinelli e ad Andrea Iannuzzi, la Lumsa ha varato un corso di 12 ore per i suoi studenti del biennio 2018-2020, facendo entrare ufficialmente il mojo nel piano di studi e nell’offerta formativa che i giovani giornalisti avranno a disposizione.
L’opportunità di condividere l’esperienza con l’amico Piro
Ls cosa più bella di questo corso storico, il primo in una scuola di giornalismo italiana, è che condividerò l’esperienza di insegnamento con il collega Nico Piro che sta portando avanti con me la costruzione della cultura mojo in Italia. Un amico, un collega, un interprete del mojo molto diverso da me. Questa coppia di docenti darà agli studenti una visione molto ampia della disciplina, arricchendo notevolmente la loro “valigia”. Insomma, sono felice di poter dire che il mojo è approdato alle scuole di giornalismo italiane, ma posso confermare che le notizie di tal genere non sono finite. #Staytuned
Mobile journalism alla francese: sguardo sul futuro
La conferenza internazionale sul mobile journalism Vidéo Mobile 2019, terza edizione dell’evento sulla cultura della mobile content creation in lingua francese, offre sempre uno sguardo differente sulla materia. Già, perché alla manifestazione organizzata dal team di Philippe Couve e di Samsa.fr, agenzia internazionale di formazione Mojo che ha rivoluzionato il mercato francese, ci sono sempre occhiate non scontate su quello che di nuovo emerge nel mobile journalism e su nuove zone in cui il Mojo attecchisce e germoglia in forme davvero poco regolari sia per quanto riguarda il linguaggio visuale, sia per i business giornalistici.
Audio, Stories, ruolo del mojoer e tanto altro
La cosa magnifica di Vidéo Mobile è che apre al Mojo africano e fa scoprire coraggiosi esempi di mobile journalism “low cost” che stanno conquistando l’interesse internazionale. Il team di Couve, però, è abilissimo nel creare temi che facciano restare al centro l’esercizio giornalistico Mojo, ma lo portino in territori nuovi come le stories di Instagram o le piattaforme social di diffusione dei video, la posizione del giornalista Mojo in una sua storia (dentro o fuori?), ma anche la potenza dei microfoni wireless o delle ultime app di montaggio come Premiere Rush che ha stravolto il teatro dell’editimg in mobilità.
Fino a ieri era Project Rush oggi è Premiere Rush: rivoluzione mojo in vista
Su questo blog e in diretta, per i miei Patron, ho parlato più di una volta di quella app realizzata da Adobe che fino a ieri si chiamava Project Rush, ma oggi ha cambiato nome. In diretta dagli Stati Uniti, infatti, la Adobe, nel suo annuale keynote “Adobe Max” ha presentato ufficialmente (e messo in commercio) la sua app per il montaggio “mobile” multipiattaforma ribattezzandola ufficialmente Premiere Rush CC. Durante l’evento è stata tenuta tra le ultime novità ed è stata presentata con grande passione sul palco losangelino della conferenza che ha come eloquente claim “The Nex Generation of Creativity”. Impattante la scena, e impattante anche il cambiamento che la più grande firma mondiale del software per creativi ha impresso alla sua immagine con questo evento.
Una piattaforma per la creatività.
Premiere Rush CC è stata svelata con tutti i particolari e presentata come la app che serve ai nuovi storyteller, quelli che vivono online tra il canale Youtube e il loro blog, quelli che montano ovunque e che passano l’esistenza “catturando” la vita che gli sta intorno. Insomma Project Rush, divenuta Premiere Rush, ha parlato proprio ai mojoer, aprendo tutta una serie di possibilità di enorme interesse per quello che riguarda l’editing dei contenuti video con il plus affascinante del poter cambiare strumento di lavoro in tempo reale, passando dall’iPhone all’iPad oppure facendo gestire da remoto nel cloud ulteriori avanzamenti del lavoro per poi rifinirlo ancora sulle device mobili. Questo può cambiare la filosofia e aumentare la capacità di interazione tra un luogo fisico come una redazione e i mobile journalist in giro per servizi. Ora che lo vedo nei miei device, posso dire che, nonostante io sia un “totalmojo” e abbia eliminato dal processo di produzione il pc, vedere Premiere Rush CC recapitare nel mio vecchio computer hp delle cose fatte con l’iPad alcuni secondi prima è un cambiamento che quasi mi sciocca. Quasi come la strepitosa Youtuber Lill Singh che oggi ha fatto da madrina al prodotto.
Adobe si consegna alla mobilità e alla nuvola, tutta!
Dopo questa serata non credo di esagerare se dico che il mobile journalism cambierà, così come tutta la mobile content creation. Intendiamoci, Premiere Rush non ha nemmeno lontanamente le qualità enormi e le caratteristiche che ha Luma Fusion, di Luma Touch. Però non posso dire che l’operazione di fare Premiere Rush non sia di quelle che cambiano la storia. Adobe ha fatto questa app perché la considera la punta di un progetto nel quale crede moltissimo. Quale? Quello che ha, di fatto consegnato tutto il futuro della più grande firma al mondo di software “creativo” alle parole “mobile” e “cloud”. Premiere Rush, infatti, ha rivelato tutte le sue potenzialità in quanto a flessibilità e velocità di esecuzione del montaggio video, ma i dirigenti e i creatori di Adobe che si sono alternati sul palco di Los Angeles hanno riempito la hall con concetti vicinissimi a una completa mobilization degli applicativi e dei software di Adobe. Insomma la company si è consegnata tutta al mobile… ed è solo all’inizio della transizione.
Premiere Rush e i suoi fratelli più grandi…
Premiere Rush, infatti, è la testa di ponte del mondo Adobe per passare dal desktop alle device mobili, ma anche alcuni fra gli altri programmi di punta hanno fatto il salto definitivo. Photoshop 2019, per esempio, è stato presentato come il primo Photoshop completo per iPad e non più come una versione light per il tablet di casa Apple. Stessa cosa dicasi per Lightroom che ha mostrato tutta la sua potenza quando è stato fatto passare un file RAW da 41 mega tra un iPad in cui era stato fatto “virare” al bianco e nero, all’iPhone di chi stava facendo la dimostrazione, ma anche a un Samsung S9. La Adobe ha presentato anche Project Gemini per gli illustratori che è un’altra applicazione nativa per iPad e ha scatenato tutta la fantasia del suo Cloud dichiarando che diventerà una creativity platform senza confini, con Premiere Rush e i suoi fratelli più grandi.
Il futuro sembra non avere frontiere
Sono stato abituato, per necessità, a presentarti il mondo del mobile journalism come diviso tra iOS e Android, avvicinabile dal PC o dai Mac. Due metà dell’universo, con un largo confine in mezzo. Questa sera, però, mi accordo che tutto sta cambiando se Adobe, per i creativi di tutto il mondo, mette a disposizione delle App disegnate per le device mobili e la potenza di una nuvola che fa in modo che tutte gli apparecchi siano sincronizzati per finalizzare il lavoro e facilitare un flusso a più mani sullo stesso contenuto. Il futuro è tracciato e a questa strada va aggiunta solo l’implementazione dei comandi vocali che già questa sera si è vista. Insomma Adobe ha cambiato il modo di pensare il mobile journalism con una app come Premiere Rush, ma anche con “miglioramenti” decisivi sui suoi prodotti classici visti in mobile come Photoshop e Lightroom. Poi è andta nel futuro con XD, app per il designing da mobile per siti e creazioni di app. Ora la risposta a Luma Touch per riportarsi avanti quattro passi come è sempre stata.
Il prezzo? Sono 10,49 euro al mese.
Per 10,49 euro mensili Premiere Rush è una app che penso sia il caso di avere per quella grande potenza della condivisione del lavoro via cloud che sbaraglia il campo delle applicazioni di montaggio mobile. Ti dirò che ho acquistato subito l’abbonamento, ma resto certo che Luma Fusion è assolutamente inarrivabile e presto pareggerà il conto anche per quanto riguarda il lavoro in cloud.
Sono sveglio dalle 5 e sto vivendo il secondo giorno di mobilization della redazione di Verona Network, l’interessantissimo hub informativo locale del capoluogo veneto per il quale mi hanno chiesto, per la prima volta, di curare tutti i passaggi di cambiamento della modalità di lavoro per passare da un flusso classico di produzione a un flusso totalmente legato all’uso di apparecchi mobili per la realizzazione dei contenuti. Cosa significhi rendere mobile una redazione è una scoperta anche per me. Lo è per la novità del tipo di compito e per il fatto che può incontrare dei problemi legati al cambiamento delle persone che quindi non possono essere considerati prevedibili. Stante questa condizione di partenza una consulenza come quella che sto sviluppando in queste ore con la straordinaria redazione multipiattaforma dell’editore veronese Finval è davvero un’esperienza che vale la pena di raccontare.
Cambiare workflow, cambiare i pensieri.
Il lavoro si sta svolgendo in modo da esaminare la maniera con cui questa redazione sviluppa tutti i suoi contenuti e verificare come questo modo, portato avanti in maniera straordinaria dai componenti della news room, possa essere valorizzato Grazie all’uso di device mobili e di processi di lavoro più snelli e atipici grazie a quel tipo di hardware. Capito e sviluppato il nuovo flusso di lavoro, Esso va unito ad una seconda parte molto importante del cambiamento in mobile di una redazione.
Sto parlando della cambiamento dei tipi di prodotti realizzati e anche dell’implementazione di Format totalmente nuovi che facciano capire che l’hub informativo ha iniziato a lavorare con nuovi strumenti per produrre contenuti che hanno nuovi linguaggi e vogliono arrivare più vicino alla vita di chi legge o vede. per questo oltre a cambiare il flusso di lavoro una delle cose importanti che la mia consulenza desidera realizzare è quella di cambiare i pensieri che attraversano i membri della redazione mentre producono delle cose sul campo. Lo smartphone, infatti, fa realizzare una news in modi completamente diversi rispetto agli strumenti classici che un giornalista multimediale di questi tempi usa.
Linguaggi diversi, prodotti diversi, grandi vantaggi
Questo cambiamento porta indubbiamente un considerevole numero di vantaggi alla redazione che lo interpreta. Si impara un linguaggio diverso per interpretare la professione giornalistica, si creano prodotti nuovi, ci si avvicina di più ai lettori e si contengono i costi liberando risorse economiche per investire sulle persone. Il tutto con un lavoro diviso in quattro fasi: analisi dello stato delle cose e dei punti dove può essere implementato il mobile journalism con effetti migliorativi, cambiamento del flusso di lavoro, creazione di nuovi prodotti e analisi dei costi risparmiati per il reinvestimento. Se sei un piccolo editore e vuoi saperne di più su questa mobilization contattami alla mail cliccando qui.
Sono passati 15 giorni da quando i miei patron hanno potuto vedere una lunga dimostrazione delle funzionalità di Project Rush, la nuova applicazione di montaggio mobile realizzata nientemeno che dalla Adobe. Si, hai letto bene: sto parlando della company che realizza Premiere e tutti gli altri programmi per i creativi dell’immagine famosi in tutto il mondo. Si tratta di un software multi piattaforma che grazie a Creative Cloud può farti fare un lavoro cominciandolo in mobile, continuandolo su pc e finendolo su iPad. Una rivoluzione che ridefinisce le potenzialità del montaggio in mobilità per i mobile journalist.
Le prime impressioni, senza le mani sopra
Non ho ancora avuto sotto le mani questa app e quindi devo ammettere che le mie impressioni possono risultare parziali. La filosofia di Premiere portata in mobile, però, è una promessa che rischia di rapirmi. Avere a disposizione la flessibilità e la potenza della tecnologia Adobe, facendo tutto su un telefonino, controllo colore e audio compresi, ma anche una straordinaria varierà di possibilità grafiche e di titolazione, è una cosa che rischia di ribaltare il mercato delle App di editing.
Essendo un total mobile mi viene più facile pensare che la dedizione al prodotto mobile di Luma Touch e della loro Luma Fusion resta imbattibile e che Adobe abbia messo piede sul mercato delle applicazioni in mobilità solo per dire di esserci. Sarò ben felice, però, se i fatti mi smentiranno. Intanto ti lascio con questa provocazione. Se Rush entra anche in Android, cosa già prevista, e Luma Fusion sbarcherà in Android anche lei, vuoi vedere che saluteremo tutti i telefoni Apple?
A settembre saranno più o meno due anni dall’inizio del mio progetto di divulgazione del mobile journalism in lingua italiana. Forse un pochino di più se vai a rileggere questo articolo datato 9 aprile 2016, quando ancora parlavo di mobile journalism quasi senza avere contezza che ero dentro una nuova cultura e un nuovo mondo del giornalismo. Leggilo, fa tenerezza. Già, mi fa piacere anche pensare che tutto il mio progetto sia sotto gli occhi di tutti, leggibile dall’inizio alla fine, anche adesso che questo blog viaggia stabile sui 1800 lettori unici al mese. Sul mobile journalism, poi, ho scritto anche questo articolo, raccontando uno stato delle cose che era tutto fuorché roseo, almeno in quel momento. Era il 16 ottobre 2016 e tutto doveva ancora essere fatto (e anche io mi dovevo… fare).
La comunità esiste, eccome.
Il mobile journalism italiano è nato nel 2015 dalla visione di Nico Piro, collega del Tg3, ma anche dal coraggio di Lazzaro Pappagallo, dirigente dell’associazione Stampa Romana che per prima ha varato i corsi sulla materia. Nel 2017 è nata Italian Mojo a Milano, per mano e cuore di Fabio Ranfi, Fabio Benati, Andrea Fontana e Sabrina Della Valle. Corsi, eventi, pubbliche prolusioni, collaborazioni con l’Ordine regionale dei giornalisti della Lombardia. Passo dopo passo la romana Mojo Italia e la milanese Italian Mojo sono nate, cresciute e si sono sviluppate cominciando a far penetrare nel linguaggio comune del giornalismo italiano le parole mobile journalism. Alcuni corsi sono anche stati sviluppati dal Centro di Documentazione Giornalistica, sempre con i romani Enrico Farro e Nico Piro, incaricato di redigere un libro sulla materia del mobile journalism che uscirà a settembre 2018.
Il corso alla Regione Lombardia
Italian Mojo, invece, ha raggiunto oltre 400 persone in un colpo solo nell’evento organizzato dall’Odg Lombardo “Voglio fare il freelance” al Palazzo della Regione nel settembre 2017, corso replicato anche nel marzo 2018. Oltre 200 erano i presenti agli Stati Generali dell’Informazione in Lombardia a Palazzo delle Stelline a Milano. Centinaia le persone formate nei corsi e quelle toccate da corsi accessori come quello sviluppato nel giugno del 2018 con riferimenti anche alla deontologia professionale e al Brand Jourmalism. La comunità milanese cresce con minore intensità rispetto a quella romana, ma ha già esempi di giornalisti sganciati nelle redazioni e nelle aziende a contaminare il flusso normale del lavoro con il viruso del mobile journalism.
Parigi e Galway, noi ci siamo.
Il 2018 verrà ricordato, in Italia, anche per altri due passi che hanno portato la comunità italiana a rafforzarsi ancora. Sto parlando della mia partecipazione come speaker alla conferenza “La Video Mobile” di Parigi nel febbraio del 2018 e la mia partecipazione come moderatore di un panel alla conferenza di Galway, quella Mojofest che da tutti è ricordata come un punto di riferimento internazionale della community.
Le esperienze accademiche
Fra le mie attività accademiche ci sono da annoverare, nella scorsa stagione universitaria, corsi ai Master della Iulm (Wellness and Beauty, Management dello sport e Food and Wine), al corso di Management dello Sport dell’Università di Pavia e una lezione presso la Scuola di giornalismo della Lumsa. Di grande importanza anche le esperienze di Nico Piro, con il quale condivido il ruolo di divulgatore del mobile journalism in lingua italiana. Il collega della redazione esteri del Tg3 è stato impegnato, con l’aiuto di Enrico Farro, al Master del Sole 24 Ore e alla Business School del quotidiano, alla Scuola di Giornalismo di Salerno, è stato fra i più “osannati” relatori del Dig a Riccione e ha rappresentato l’Italia anche alla nona conferenza della European Broadcasting Union nel 2017. In questi giorni ci sono ulteriori elementi che fanno pensare a novità nei confronti delle Scuole di Giornalismo (la Lumsa in particolare), ma non posso ancora dire alcunché. Il mobile journalism, comunque, è entrato lentamente nelle stanze dove si studia il presente e il futuro del giornalismo.
La figura di Lazzaro Pappagallo, di Fabio Benati e le istituzioni.
Nel 2018 è successo di più: è l’anno che verrà ricordato come quello del primo festival italiano del mobile journalism, Mojo Italia. Per rendere giustizia alla manifestazione vanno sottolineate alcune cose. La prima è il ruolo di Lazzaro Pappagallo, sindacalista al vertice del movimento di Stampa Romana. L’opera di questo professionista, la protezione e la carta bianca data al team di Mojo Italia per organizzare il festival, insomma, l’appoggio fornito è determinante per la storia del mobile journalism italiano (e non me ne voglia Nico Piro e tutto il team romano). Così come il collega Fabio Benati a Milano, uomo dell’Ordine da sempre e attivo nella politica della professione, a Roma Lazzaro Pappagallo ha mostrato la vita del rinnovamento intepretanto un ruolo del sindacato come di quella istituzione che “deve portare il lavoratore – sono parole sue – dove c’è il lavoro”. Sono convinto che Pappagallo sia una chiave di volta per il futuro del mobile journalism e auguro ai colleghi romani che stia dov’è per molto tempo. Fabio Benati, invece, si spende al mio fianco ormai da oltre un anno divulgando il verbo del mobile journalism e guidandomi in modo sapiente nei rapporti con le istituzioni da “conquistare”, da convincere, da far innamorare. Un professionista eccelso che si batte per il bene della professione da decenni, oltre le correnti politiche e le convenienze.
Le istituzioni come la FNSI sembrano seguire con interesse il movimento del mobile journalism italiano, così come lo fa con vigore il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti lombardo Alessandro Galimberti che si sta adoperando per l’introduzione del mobile journalism anche nell’Istituto per la Formazione al Giornalismo Walter Tobagi. Percorso non facile… a quanto sembra.
Io sto lavorando al suo fianco e cerco di sostenere la cosa, perché penso che il cambiamento vada aiutato e supportato dentro le istituzioni. Stare fuori a criticare è molto, troppo facile. In questo senso ho anche fatto vista all’amico Carlo Verna, Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, per raccontargli con passione il progetto.
Il grande evento: Mojo Italia
Fatta la premessa, posso entrare nello specifico con il racconto di Mojo Italia. Il primo festival del mobile journalism italiano. E’ dal 21 al 23 settembre, presso Stampa Romana e la Casa del Cinema, immersa nella bellissima Villa Borghese. Lo sta organizzando il team di Mojo Italia che, parte Nico Piro, conta anche altri mojo come Natalia Castaldini o Vally Corona, ma vede l’appassionata partecipazione di tutta la comunità mojo romana. Un team affiatato che ha messo in piedi 15 seminari gratuiti in 3 giorni di evento, per quello che è un grande evento di formazione gratuita per giornalisti e professionisti del visuale, con la collaborazione proprio di Italian Mojo e dell’Associazione Filmaker diretta da Enrico Farro. Montaggio con Kinemaster o Luma Fusion, introduzione al mojo, il Vlogging, gli altri social come Instagram, come fare un podcast: questi solo alcuni degli argomenti della tre giorni per un programma fittissimo, con i massimi esperti ialiani, che puoi trovare qui.
Dalle prime notizie sono oltre 300 le iscrizioni ai seminari per una manifestazione che si annuncia come quella che dividerà un prima da un dopo nella storia del mobile journalism italiano. Il tutto anche perché c’è un primo timido interesse anche da parte degli editori che, probabilmente, faranno capolino alla manifestazione. Ci saranno anche tre concorsi mojo che puoi trovare qui se vuoi metterti alla prova.
Editori, se ci siete battete un colpo
Il grande passo che deve fare Mojo Italia è dare riconoscimento alla comunità italiana e farle sapere che esiste. Se posso mettere fuori un difetto di questa manifestazione ritengo che sia quello di essere in lingua italiana, ma va detto: in Italia i mobile journalist devono prima conoscersi e vincere le diffidenze. Poi potranno dire la loro anche all’estero. Il secondo grande passo è quello di uscire dal guscio e di far capire agli editori che il giornalismo va nella direzione del mobile journalism. Ci va con una comunità nuova e unita, moderna e creativa: non parteciparvi e non immettere il mobie journalism (tutto) nel processo delle aziende editoriali, è un errore. Saprà Mojo Italia fare questo? Intanto ti dico una cosa, se ti interessa il mobile journalism e non ci sarai, beh, hai torto. Terrò anche un seminario sui business possibili con lo smartphone: vieni?