Tag: mobile journalism

  • Trovare lavoro: i dieci libri che possono cambiarti la carriera

    Trovare lavoro: i dieci libri che possono cambiarti la carriera

    Trovare lavoro: è una questione di studio e cambiamento.

    In questi giorni ho ricominciato lo studio la scrittura per portare a compimento il progetto di scrivere un libro sul mobile journalism e per realizzare la didattica dei miei primi corsi avanzati. Studiare è per me una necessità primaria e lo è per poter trovare il lavoro e far crescere il lavoro. Rituffandomi nei libri ho capito che sto studiando dei volumi che mi regalano tali e tante informazioni, tali e tanti stimoli da cambiarmi come persona. Ho una bibliografia vasta, tutta nel mio iPad, la quale mi deve aiutare a far crescere alcuni aspetti del mio lavoro e dei miei progetti, ma mi sono accordo che si tratta di volumi che possono cambiare la vita e la carriera di chiunque. Fatto questo pensiero ho deciso di girarteli, con la speranza che sortiscano su di te l’effetto che hanno sortito su di me. Ti avviso che i riferimenti precisi li troverai cliccando sui titoli dei libri stessi.

    1. Più dai, più hai. Adam Grant.

    Trovare lavoro significa raggiungere un obiettivo. Per raggiungere un obiettivo che finora non hai raggiunto devi cambiare. Ti devi spogliare di qualsiasi egoismo e imparare a dare, molto prima di ricevere. Questo libro del giovane psicologo americano rivoluziona i comportamenti sul lavoro e fa capire molto bene a noi italiani, popolo di stronzi egoisti, che se vogliamo andare avanti, dobbiamo smettere di prendere e cominciare a dare. Il geniale Grant, che trovi qui, è psicologo e ha lavorato alla Wharton School of Economics prima di diventare milionario con i suoi libri (spero per lui). Ha il merito di essere semplice, chiaro e didascalico. Ha il merito di cambiarti e di farlo sulla base di teorie economiche ben precise.

    2. E non dimenticarti di essere felice. Christophe André.

    Un altro psicologo, esattamente il papà della psicologia positiva. Il dottore francese propone un breviario di esercizi che mi è davvero servito quando la situazione non era facile e non sapevo come tirar fuori soldi per campare. Mi ha fatto imparare che la felicità è una scelta, anche nel campo del lavoro. Mi ha fatto capire come essere felice dei miei si, ma anche dei miei no. Ha dentro un alfabeto della felicità che segna davvero un cambiamento, se lo vuoi ascoltare.

    3. iPhone millionaire. Michael Rosenblum

    Per un decennio ho studiato e lavorato sui telefonini, per un decennio ho pensato che quell’aggeggio che avevo tra le mani poteva darmi da mangiare e cambiare la vita. Poi ho trovato la mojo community e ho capito che non ero il solo stronzo ad aver fatto questo ragionamento. Ho incontrato e conosciuto tutti i grandi del mobile journalism e ho iniziato a studiare. Il padre di tutti i libri sul mojo? E’ quello di Michael Rosenblum che insegna idee, tecnica, accorgimenti, business model, comportamenti e modi per diventare un mobile journalist e fare soldi con il tuosmartphone.

    4. The Mojo Handbook. Burum e Quinn

    E’ il manuale di riferimento del mobile journalism ed è il libro che regala una visione di insieme chiara e di carattere accademico sulla materia. Ivo Burum e Stephen Quinn ne sono gli autori e sono coloro che, per primi, hanno messo ordine nel mojo, il quale, essendo una rivoluzione culturale partita dal basso, è per sua natura disordinato e ondivago. Si tratta di un manuale universitario che è di tale importanza da dividere il tempo dei mojo in prima di questo libro e dopo questo libro.

    5. Le 42 leggi del digital carisma, Rudy Bandiera. 

    Ho letto questo libro quando non sapevo ancora che immagine digitale volevo costruire di me. Beh, si è rivelato un breviario indispensabile per costruire una parte della figura professionale determinante se vuoi fare il giornalista oggi. Di cosa sto parlando? Sto parlando del personal branding. Il grande Rudy, però, non c’azzecca alcunché con i video o col giornalismo, ma regala un manuale strepitoso di comportamento e di atteggiamento online che tutti coloro che fanno giornalismo e comunicazione adesso, devono leggere.

    6. Fai di te stesso un brand. Riccardo Scandellari.

    Il massimo esperto di Presonal Branding in Italia è lui e non puoi fare a meno di passare da questo libro se desideri costruirti un brand che ti faccia riconoscere nel digitale e trovare lavoro o crescere professionalmente. Se hai qualcosa da comunicare, qualsiasi coda, questo lo devi tenere sotto il cuscino. Il Personal Branding che ti costruisci è la strada principale della tua carriera. Grazie a questo libro cominci a smettere, se lo metti in pratica, di inseguire il lavoro e fai in modo che il lavoro insegua te.

    7. Resisto, dunque sono. Pietro Trabucchi.

    Se hai bisogno di una mappa per sapere la direzione dove andare in questo nostro campo di lavoro così massacrato e incerto ti serve il Trabucchi. Questo libro è il manuale italiano di resilienza più importante e io ne ho già parlato su questo blog l’anno scorso. Se hai bisogno di capire in modo più approfondito di cosa di tratta ti rimando alla recensione che ne feci nel luglio del 2017. La feci da papà, pensando alle difficoltà che si affrontano quando sei un genitore single come me, ma va bene anche per il lavoro. Devi essere più forte della mediocrità, della rassegnazione, della fatica, della frustrazione e questo libro ti serve eccome.

    8. Live like Fiction. Francesco Paulo Marconi. 

    Ok, hai imparato come si costruisce un Personal Brand? Ecco, adesso trasformati nella superstar che sei e che non sapevi di essere. Il percorso di Francesco Paulo Marconi, capo della Research and Development del WSJ, è un percorso che dura nel tempo e ti indica esercizi e tecniche per diventare il sucesso che sei… Si, hai letto bene, non sto sparando minchiate. Diventa l’uomo di successo che sei e fallo raccontando e vivendo la tua vita come una fiction. La tua vera fiction. E non sto parlando di fare il fenomeno, ma semplicemente di esprimere pubblicamente la realizzazione del tuo percorso. Trovare lavoro diventerà una cosa che, forse, nemmeno di serve più.

    9 Rock and Blog. Riccardo Scandellari. 

    Sto ragazzo l’ha fatta grossa. Ha sfidato il drago e ha vinto e, dopo aver fatto esperienza con la grande Flaccovio, è andato a giocare in Champions League. E l’ha vinta facendo un libro che sta due piani più su di quanto stessero gli altri. Lo aspettavo al varco, mi aspettavo una delusione. Ha strabattuto tutte le mie titubanze, tanto che ne parlerò anche nei prossimi giorni, quando avrò finito di mangiarlo. E’ un libro che se vuoi trovare lavoro, ti fa prima trovare te, poi il lavoro che ti serve.

    10. Mobile Storytelling: A journalist´s guide to the smartphone galaxy

    Il libro di  Bjorn Staschen e Wytse Vellinga fa diventare il mobile journalism materia universitaria di primo livello tra quelle che si studiano nel giornalismo (o meglio che si dovrebbero studiare,  visto che in Italia non siamo ancora in grado di poter dire che si studia mojo nelle scuole di giornalismo). C’è tutto if you want to be a mojo. Anche di questo libro farò una precisa recensione staccata da questa lista quando avrò finito di studiare. 

    Naturalmente se guardo nella mia biblioteca nell’ipad c’è altro. Altrettanto naturalmente ti dico che nei prossimi mesi aggiungerò dei pezzi. Dividere la conoscenza arricchisce. In tutti i sensi, anche economicamente.

  • Luma Fusion: le cose che ho scoperto studiando per un nuovo corso

    Luma Fusion: le cose che ho scoperto studiando per un nuovo corso

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    Luma Fusion: la Ferrari delle applicazioni di montaggio.

    Con l’associazione Italian Mojo sto preparando il primo corso della mia giovane storia di docente mirato su una delle più importanti applicazioni per il mobile journalism: Luma Fusion. Se segui questo blog te ne avevo già parlato. Questo, per esempio, è il post nel quale raccontavo le ultime novità della release più recente. Tuttavia ho sempre seguito l’app realizzata da Terri Morgan e Chris Demiris come un riferimento importantissimo della cultura del mobile journalism.

    Premiere o Final Cut? No, molto meglio.

    Io non ho lavorato in Final Cut e ho lavorato molto in ambiente Premiere. So per quel che ho visto e per quel che ho vissuto sulla punta del mio mouse che Luma Fusion è meglio ed è più facile da vivere, da interpretare. L’intuitività dei comandi di base, ma anche dei piccoli trucchi segreti, mi ha sempre sorpreso e mi ha sempre fatto fare le cose che facevo con il software di Adobe nella metà del tempo. Per questo ho raccontato Luma Fusion come l’app che ha, di fatto, annullato la differenza tra il montaggio con smartphone e Tablet e il montaggio via pc.

    Ora sto studiando e me la faccio sotto…

    Dai scherzo, anche se un po’ è vero. Sto studiando in questi giorni la didattica del corso e me la faccio un po’ sotto perché Luma Fusion è una creatura che evolve con il cambiare della cultura mojo. I suoi creatori, infatti, la tengono talmente aggiornata che non era possibile che mi mettessi prima a fare la didattica di questo corso. Il motivo? L’avrei fatta su una versione vecchia. Allora devo usare, come te, d’altronde, la principale arma dell’essere mojo. Sto parlando dello studio, della ricerca, delle conoscenze, delle fonti e dei modi per andare a capire questa applicazione e le sue aree di intervento nel modo più efficace.

    Le cose che ho scoperto

    Poi il resto lo farà il cuore e la passione, ma anche il desiderio di comunicare a chi verrà che Luma Fusion non è un fine, ma un mezzo per raccontare storie. Per farti entrare nell’argomento posso girarti da dove sono partito io per lo studio, ma certamente non ti dirò dove sono arrivato. Te lo dico al corso, quando ci vediamo. Fra le cose che ho scoperto la più importante è questa: la curiosità e il desiderio di sapere sono le due armi più importanti di un mojo. A qualunque livello egli sia.

    https://youtu.be/9X6g5FypO9o

    Ci vediamo, se ti va, il 19 maggio alle 10. Per informazioni e iscrizioni puoi cliccare  su questo link.

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  • CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    Cnmp2018 al via

    Tutto pronto per la tre giorni del Secondo Congresso Nazionale di Medicina e Pseudoscienza che, dal 6 all’8 aprile 2018, vedrà 30 tra i migliori esponenti della medicina e della scienza italiana discutere di un tema fondamentale per la vita dell’uomo: l’alimentazione.

    Dal direttore dell’Istituto Mario Negri Silvio Garattini all’immunologo Roberto Burioni, da Piero Angela al direttore del Dipartimento di Scienze Umane del Consiglio Nazionale delle Ricerche Gilberto Corbellini, alcuni fra i più importanti scienziati, ricercatori e divulgatori scientifici del nostro paese cercheranno di fare chiarezza su un tema invaso da mode, da fake news, da tendenze e false notizie come quello del mondo alimentare. Nel mirino le diete miracolose, i cosmetici “per dimagrire” venduti come farmaci, il grande mondo dell’omeopatia, le mode dei “No glutine” o “No OGM”: insomma, dalla corretta ragione della scienza verranno spazzate via tutte le false verità su quanto portiamo alla bocca ogni giorno. I relatori della tre giorni (il primo, il 6 aprile,. valido per la formazione professionale ECM delle professioni mediche con il conferimento di 8 crediti) non risparmieranno colpi verso tutto quanto si è fatto strada nel mondo dell’informazione alimentare e non risponde alle regole della scienza.

    Il punto sui vaccini

    Tanti gli spunti, molti i personaggi. Il CNMP, giunto alla seconda edizione e organizzato interamente dalla casa editrice, farà anche il punto sull’argomento vaccini, un anno dopo aver affrontato l’argomento con la prima edizione del congresso. Tra i 30 relatori il meglio della divulgazione sull’immunizzazione corretta presente in Italia: oltre al già citato Roberto Burioni, saranno presenti anche Francesco Maria Galassi, giovane e brillante paleopatologo e autore di “Un mondo senza vaccini? La vera storia” (C1V Edizionj) e Pier Luigi Lopalco, autore di “Informati e Vaccinati” (Carocci Editore). Promette contenuto e fascino la conclusione, prevista per domenica 8 aprile 2018, nella quale si ricaveranno il ruolo dei saggi anche Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale seguitissimo su Internet, e Piero Angela. Al padre del giornalismo scientifico italiano il compito di consegnare al pubblico tutta la sua saggezza nelle fasi finali dell’evento.

    Le informazioni di servizio.

    Tutte le informazioni sul congresso e sugli eventi collaterali le potete trovare sul sito www.cnmpconference.com. Tra le iniziative particolari anche una serata teatrale il 7 aprile dopo il congresso, serata nella quale l’attore Fabio Brescia porterà sul palco la piece “Sul Nascere” per la regia dell’inglese Mark Pattenden, dal testo scritto dalla scienziata Carolina Sellitto. Per quanto riguarda le iscrizioni al congresso, C1V Edizioni comunica che, da ora in poi, è possibile effettuarle in loco. La sede del congresso è il Mercure West di Roma in via Eroi di Cefalonia 301: sulla pagina www.cnmpconference.com/sede si possono trovare indicazioni sul modo per raggiungere la location. Fra i servizi anche una navetta a chiamata. Per i media interessati al congresso, si possono effettuare accrediti ancora online. Verranno accettati solo i giornalisti in possesso di tessera ODG, elenco pubblicisti o professionisti. Il link cui accedere per la registrazione è www.cnmpconference.com/press. Per ogni altra necessità potete contattare il nostro ufficio stampa al numero 3477146295.

    Il primo press office in total mobile.

    Da due mesi, ormai, ho preso il press office della casa editrice C1V Edizioni facendone un laboratorio della mobile content creation. Comunicati, note, testi sui siti, foto, video, contenuti multimediali sono stati fatti totalmente con device mobili e pubblicatii con gli stessi attrezzi e criteri sui siti del Gruppo C1V. Il risultato è stato un notevole interesse dei media e dei numeri “social” in verticale ascesa. Ora viene il bello, con un press office che si sposta al Congresso con uno studio per un live multicamera e con un flusso che produrrà in tempo reale contenuti video di qualità tale da poter essere pubblicati da tv e siti interessati. Per i miei studenti e per gli appassionati mojo, il congresso potrebbe quindi essere un’occasione per vederci all’opera e per carpirci qualche segreto. Sarò in compagnia del prof Fabio Ranfi… in arte Rufus.

  • Come si fa un ufficio stampa con il mobile journalism

    Come si fa un ufficio stampa con il mobile journalism

    Come si fa un ufficio stampa? Col mobile sto cercando di rompere gli schemi.

    La casa editrice C1V Edizioni di Roma mi ha affidato, alla fine del mese di gennaio 2018, il compito di rifondare la comunicazione, con l’obiettivo di far puntare l’attenzione dei media sul Secondo Congresso Nazionale di Medicina e Pseudoscienza che andrà in scena dal 6 all’8 aprile 2018 e sul quale puoi trovare tutte le informazioni necessarie a questo link. Dopo un mese e mezzo di lavoro voglio raccontarti un po’ di concetti messi in campo per rivedere tutti gli schemi classici dell’ufficio stampa e dirti come farò a coprire l’evento con quello che penso (ma spero sempre di essere smentito) sia il primo ufficio stampa in totalmojo, almeno della storia dell’editoria italiana. Forse non so rispondere in valore asssoluto alla domanda “ Come si fa un ufficio stampa” oggi, ma posso spiegarti quale è la mia personale ricetta.

    Il press office deve dare notizie.

    Ho fatto il giornalista per 30 anni, poi, per fortuna ho smesso. In quella fase della mia vita ho ricevuto 300-400 email al giorno. Di queste sono meno del 30% quelle di cui ho guardato l’oggetto, il 10% quelle che ho letto. Forse meno quelle nelle quali sono riuscito ad arrivare alla fine. In mezzo a questo mare di parole perdute, sono migliaia i comunicati stampa che sono spariti nel nulla.

    Quando ho iniziato il progetto con l’editore Cinzia Tocci ho espresso subito anche a lei il concetto di base sul quale volevo lavorare: il press office deve dare notizie. “Il progetto di Francesco mi è piaciuto subito – ha raccontato la dottoressa Tocci – perché ho compreso velocemente la sua innovatività”. Questo target ha aperto un’interazione più proficua con i colleghi che si sono interessati all’evento che, tra l’altro, raccoglie il meglio della medicina italiana su un tema determinante come l’alimentazione. Io fornisco notizie che arrivano dai contenuti del congresso e risolvo un problema al collega che contatto. Con una notizia in mano il giornalista tende ad ascoltarmi.

    Non faccio comunicati stampa.

    L’ufficio stampa è cambiato e si è aperto alle digital PR. Io ho deciso di fare un po’ di passi in più. Non faccio comunicati stampa, ma ho deciso di affidarmi a una produzione continua di contenuti (distribuita nelle sezioni news dei due siti aziendali e inviabile in modo diretto a chi lo richieda) che crea un rapporto continuo con i media coinvolti e a target per il piano di diffusione. La content production viene direzionata anche sui canali sociali con la creazione di un racconto continuo, con una preminenza sulla pagina Facebook aziendale della casa editrice motivata dal fatto che i principali destinatari della comunicazione (e possibili iscritti al congresso) sono nella fascia di età presente sul social network di Menlo Park.

    Non faccio conferenze stampa.

    Un altro caposaldo del progetto di comunicazione realizzato per la C1V passa dal preservarsi dal dispendio di energie che comporta fare una conferenza stampa. Abbiamo tutti i contenuti, le informazioni, i valori del congresso sulle diverse sezioni del sito. Cosa può aggiungere una conferenza stampa? A proposito: se le conferenze stampa non sono mainstream, quanti colleghi puoi pensare di raccogliere? Quali obiettivi pensi di poter raggiungere? Anche in questo caso la scelta è coraggiosa e può essere recepita in modo critico dall’ambiente “ma se si vuol fare informazione in maniera innovativa – sottolinea la dottoressa Tocci, editore di C1V – bisogna correre il rischio di far diventare il futuro, presente, vincendo le diffidenze ambientali”.

    Il primo live coverage di un evento con 5 iPhone e un iPad Pro.

    La nostra più importante realizzazione sarà nell’ambito della copertura dell’evento. Assieme al collega Fabio Ranfi siamo progettando un evento coperto totalmente con degli smartphone e senza stampare un foglio. La cartella stampa, infatti, sarà un’area privata nel sito del convegno, mentre la copertura dell’evento sarà assicurata da una regia mobile che governerà 3 iPhone da remoto in due diverse posizioni. Si potrà vedere l’interno della sala, ma si offrirà al pubblico un format live su Facebook che racconta il foyer della kermesse senza andare a scoprire troppo di quanto gli iscritti al congresso potranno vedere in esclusiva. Da queste produzioni  verrà generato un flusso di contenuti, i quali saranno posti nell’area riservata per i media in tempo reale, ma anche pubblicati sui canali sociali.

    Sto parlando, quindi, di un impianto innovativo del press office che sfrutta tecnologie per creare un’interazione proficua con i media in avvicinamento e che li serve in modo dedicato durante la manifestazione.

  • Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione internet: la velocità adeguata, questa sconosciuta.

    Se vogliamo parlare di efficienza della connessione al world wide web che caratterizza le nostre vite e il nostro lavoro, parliamone. Cercando, però, di non sparare menzogne. Se sei un mobile journalist e lavori in mobilità totale, hai bisogno che attorno a te ci sia una connessione, possibilmente wireless (o cellulare) la quale segua molto fedelmente la velocità del tuo lavoro e lo spostamento dei dati che provochi da un posto all’altro. In Italia abbiamo un combinato disposto di “truffe legalizzate” nelle offerte, di infrastrutture non rispondenti alle necessità e di overload delle celle di comunicazione dati via LTE, quella del cellulare, il quale pone l’effettiva operatività della connessione che i poveretti come me e te hanno a livelli inferiori di quanto viene annunciato dagli operatori.

    La situazione italiana, tra cartelli e truffe legalizzate.

    La rete italiana, va detto, ha un grosso problema ambientale rispetto al suo posizionamento e alla sua efficienza. Di cosa sto parlando? Della composizione orografica del terreno. Si fa troppo rapidamente dalla profonda pianura alle Alpi da 4 mila metri per poter avere una distribuzione omogenea dei segnali di diffusione del traffico dati, sia sottoterra, sia in aria. La seconda problematica è l’impunità. Di cosa sto parlando? Delle compagnie internet che fanno per la connessione prezzi simili, si chiama cartello, ma hanno una cosa esattamente uguale: la tua connessione internet non è mai come ti hanno detto che deve essere.

    Una serie di bugie interminabile.

    Ti promettono fino a un giga (come la Fastweb che ho a casa mia) poi non mantengono nemmeno metà della potenza. Col Wifi di ordinanza, poi, trasmesso da un router che può essere soltanto quello che ti danno in dote, riducono notevolmente la potenza anche sotto i 300 mega è la portanza dei router più performanti. Le altre connessioni sono uguali e costano tutte tra i  26 e i 30 euro mese. Le ADSL ormai non sono utili a lavorare. Inutile prendersi in giro.

    Poi, per esempio, ti sposti in una scuola superiore di San Donà di Piave (a due passi da Venezia) e scopri che per fare una diretta Facebook non c’è nemmeno una linea (chiederla decente è poi chimerico…). Per chiudere con le linee fisse, dimmi se hai mai trovato un posto come si deve per lavorare e mandare le cose quando sei “on the road”.  Poi ti rivelo un’altra cosa per la quale spero di essere smentito. Anche le linee di terra dei dati sono “ridotte” rispetto alla reale potenza erogabile per motivi di doppini o perché i contratti di fibra sono ancora pochi per quel tale doppino cui è attaccata c

    La situazione della connessione cellulare.

    Insomma, il Paese cambia e si riempie di lavoratori mobili come i mojoer e le infrastrutture sono lontanissime da un livello che permetta di lavorare. Quindi? Urgono rimedi... Tanto tempo fa avevo anche pensato a provocare una mappatura autonoma da parte tua e mia con uno sforzo da mettere a fattor comune. Non so se si può fare e non so se vale la pena di affidarsi alle app di reperimento wifi che ci sono, ma sono convinto che era una buona idea. Perché solo chi lavora con il mobile sa quanti dati sposta e come considerare buona o meno una wifi per consigliarla ai colleghi. Però il mondo dei giornalisti e popolato di individualisti e indifferenti. Quindi…

    Il caso dei Giga che spariscono.

    Quindi meglio avere una connessione cellulare, ma anche qui la questione è complicata. Le coperture non riflettono mai la verità, il 4G in posti normalissimi, anche in mezzo a cittadine (rifaccio l’esempio di San Donà perché l’ho vissuto), spesso è un sogno. Bisogna, per forza, avere più di una connessione per non restare a piedi e i pacchetti dati costano e spesso spariscono anche solo per un settaggio di una app che succhia un sacco di dati o chissà quale altro magheggio dei server.

    La scorsa estate i 37 giga che avevo a disposizione nelle mie connessioni (Tre e Vodafone) sparivano in un lampo (tipo 10 giorni). Anche in questo campo il cartello è chiaro (basta guardare i prezzi), ma è chiara anche la scorrettezza che avevo evidenziato qui ( fatturazione a 4 settimane) e che è passata solo perché sono tornati alla tariffazione a mese solare. Con un piccolo problemino: i costi sono rimasti aumentati dell’ 8,6%, un aumento incredibilmente alto rispetto al costo della vita. 

    Io voto per qualcuno che mi garantisca un futuro diverso.

    Chiacchiere a parte, con questa situazione, ai miei consigli va aggiunto un avvertimento. Quando sei in giro a lavorare in mojo ricordati di portare la connessione con te per non restare appeso a quelle lunghe ore che passi guardando il wetransfer che tenta di trasferire il tuo video al capoccia. Io voglio andare a votare, oggi, a votare qualcuno che non differisca gli interventi nel miglioramento dell’infrastruttura. Perché se no, quando arriva il 5 G, noi resteremo fuori dalla società dei Gigabit e il cambiamento volerà via senza di noi.

  • Il mobile journalism è l’Uber del giornalismo? Ecco perché no

    Il mobile journalism è l’Uber del giornalismo? Ecco perché no

    Uberization: la cosa riguarda anche il mojo?

    Dopo la conferenza di Parigi, cui ho partecipato, ho letto e visto articoli che parlano del momento del mobile journalism e ho avvicinato il concetto che il mojo possa essere un Uber del giornalismo. Voglio fare questo ragionamento e proporre una soluzione per spiegare che, a mio avviso, il mobile journalism è quanto di più lontano ci sia dall’ Uber della professione dei media. Insoma la uberization del lavoro non riguarda anche il mojo.

    Eppure sembra il contrario, il mojo sembra Uber

    Conosci il concetto di uberization? Sicuro? E’ un processo che sta riguardando molte professioni, ma parte dal business sviluppato dalla famosissima applicazione che mette in comunicazione gli autisti di vetture con chi ha bisogno di passaggi. Uber è stata una rivoluzione nel mondo del trasporto di persone e anche un terremoto nel mondo del lavoro. Dalla nascita di quella applicazione in poi sono stati molti i campi lavorativi colpiti dalla disintermediazione. Una parentesi: va spiegato anche il termine disintermediazione, perché altrimenti non si capisce un tubo.

    In generale, si parla di disintermediazione per spiegare come, nel processo di sviluppo di un lavoro o della creazione di un  prodotto o servizio, siano stati tolti dei passaggi per merito della tecnologia. In tanti settori, dalla grande distribuzione ai trasporti, dall’ospitalità ai media, sono comparsi nuovi flussi di lavoro e di produzione di ricchezza che hanno tolto passaggi intermedi e portato molto più vicino offerta e domanda di un determinato bene o servizio.

    Nel giornalismo è successo di tutto.

    Nel giornalismo è successo di tutto. Il salto della mediazione giornalistica quando sono comparsi i primi contenuti generati dagli utenti è stato immediato. Dai primi video su Youtube e sui social è stato un attimo considerare il giornalista sorpassato. Qualsiasi possessore di telefonino è in grado di fornire una notizia e qualsiasi medium online è in grado di pubblicarla al volo. In questo nuovo scenario i media si sono ritirati sulla torre d’avorio di una cultura “tv o computer centrica”, mentre gli operatori dell’informazione hanno coltivato l’idea della minaccia dello status quo e del linguaggio “corretto” del video da parte degli aggeggi che hanno trasformato tutti in reporter.

    Ora ci si mette pure il mojo.

    In questo marasma disintermediato ci si mette pure il mobile journalism che è una cultura professionale che vuole ripensare il mestiere collegato ai media come un mestiere da ricodificare con il linguaggio che producono telefonini e tablet. Ho avuto molte esperienze dirette su come viene percepito il mojo dalla generalità dei lavoratori dei media. Viene percepito come un Uber (oddio devo fare tutto da solo) o come un gadget, come un qualcosa in più nel quale rifugiarsi quando non si riesce a fare le cose come si deve. In ogni caso, il mojo è considerato come un linguaggio inferiore e meno qualitativo rispetto al videomaking giornalistico con le attrezzature classiche (parlo di videocamera e computer).

    Ho anche verificato con testimonianze dirette come il mobile journalism non venga percepito come un’esigenza in strutture grosse. Il motivo? Culturale: il mojo non è mainstream perché la preoccupazione principale delle newsroom italiane (e non solo) e quella di autogustificare lo status quo e i meccanismi produttivi che impegnano le redazioni da anni nello stesso modo, con lo stesso linguaggio. Non c’è, in Italia, un medium che produca contenuti giornalistici ed editoriali interamente realizzati con lo smarphone. Il tutto in un mercato che è quello di un popolo intero che vede le informazioni, le notizie, i video, i programmi, insomma, tutto, da un telefonino. Perché? Perché i video sono un linguaggio tv anche sui siti web o nelle app?

    Ecco perché Uber non c’entra.

    Il mobile journalism non è l’uber del giornalismo e ora comincio a spiegare perché. Lo ha anticipato Nick Garnett facendo un ragionamento un po’ diverso da questo in un pezzo che parlava di morte del mojo, cui io ho anche risposto in questo modo. In questo scambio non si parlava del mojo come dell’Uber del giornalismo, ma proprio dell’essenza del mobile journalism che deve sapersi presentare sinceramente e senza necessità di giustificazioni come nuovo giornalismo (e basta). Io non posso permettermi, noi non possiamo permetterci di equiparare il mojo al giornalismo normale in Italia.

    Il mojo italiano deve ancora nascere?

    La cultura del mobile journalism nostrano deve ancora nascere. C’è un passaggio, però, che è molto importante e fa capire in un colpo come il mojo non sia il mezzo ma un linguaggio nuovo. Sì, possiamo anche definirlo come assolutamente disintermediato nei passaggi di produzione perché ormai il mobile journalist è in grado, come un’autista Uber, di fare tutti i passaggi del suo lavoro, fino alla pubblicazione, quindi alla definitiva consegna del proprio prodotto, da solo.

    Però quello che è successo non è stata una uberization del giornalismo, ma un completo smarrimento dello stesso di fronte a un cambiamento di linguaggio. Nick Garnett fa del mobile journalism una fotografia chiara, la quale dovrebbe rasserenare tutti dall’ipotesi di automatizzazione del giornalista. Visto che la tecnologia che ci offre il telefonino è uguale e potentissima per tutti, dice il giornalista della BBC, si può dire che siamo tornati all’anno zero del giornalismo, quello nel quale avevamo tutti in mano la stessa arma. Quale? Un taccuino, una penna, venti pence per fare una telefonata e dettarla al collega dimafonista. Allora abbiamo bisogno di questo:

    The training we need to give now is not how to create the content. We can all create.  There is still a need to explain and ease the editing process – it’s getting easier but the learning curve is a steep one but, more importantly, we have a duty to those who are joining us to explain the nuts and bolts of truth, self-editing, an awareness of journalistic law, of defamation, of libel, of the importance of cultivating contacts, about responsibility and the pre-requisite of desire to uncover the things that people don’t want you to talk about.  We need to be able to tell people what’s happened.

    Il nostro taccuino è il telefono.

    Ecco perché il mobile journalism non è l’Uber del giornalismo. Perché taglierà, come Uber, molti passaggi, ma resta solo un mezzo e un linguaggio nuovo per ricominciare, su mezzi diversi di diffusione, ma ugualmente destinati all’uomo, a raccontare le storie, le notizie, la realtà. Il mobile journalism, quindi, è quanto di più lontano da Uber esista ed è un movimento culturale che sta riportando il giornalismo alla sua essenza, condita solamente da un cambio di oggetto di registrazione e produzione del contenuto tra le mani. Una volta era il taccuino, oggi è il telefono. Ecco, già che ci siamo. Ora che siamo tutti alla pari, ora che abbiamo tutti condizioni simili di partenza, beh, proviamo a vedere chi è davvero bravo a spacciare giornalismo?