Tag: mobile journalism

  • Mobile journalism: scende in campo la Thomson Foundation

    Mobile journalism: scende in campo la Thomson Foundation

    Thomson Foundation e mojo: tutto il sapere è online.

    La Thomson Foundation, organizzazione inglese intitolata a Lord Roy Thomson, magnate anglocanadese dei media e storico padrone del The Times negli anni ’60, ha messo in campo una squadra imponente, in questi giorni, per monopolizzare l’attenzione dei giornalisti di tutto il mondo e convogliarla verso il mobile journalism. Il format? Quello dei corsi online, con una offerta che parla chiaramente di un pacchetto molto ricco, in grado di fornire preziosissimi strumenti per il futuro professionale.

    Il catalogo, che puoi trovare su questo link, è orientato al mojo, ma anche a tutti quegli ambiti che attengono direttamente alla produzione di contenuti in mobilità. Nei corsi della Thomson Foundation, infatti, si può trovare il guru del mojo internazionale Glen Mulcahy che sciorina la sua materia, ma parla anche di video a 360 gradi.  Oppure dei “teacher” come Chris Birkett, ex Telegraph e BBC, il quale introduce al giornalismo multipiattaforma.

    Un pacchetto di corsi da urlo.

    Le pagine della Thomson Foundation offrono davvero il meglio della preparazione mojo in questo momento. Mi attirano molto un paio di passaggi sul trust e sulla reputation, ma anche sull’engagement e sulle community da creare. Ricorderai, infatti, che da sempre penso che il giornalista debba coltivare con estrema attenzione il suo brand e la sua comunità di lettori: ebbene, questi corsi offrono il meglio per far crescere questi aspetti. Un altro dei punti centrali di questo programma didattico e quello di giornalismo multipiattaforma.

    Il motivo è semplice: la Thomson Foundation sa bene che i giornalisti ora si devono preparare a produrre contenuti da caricare su ogni tipo di pubblicazione. Per questo motivo “Journalism Across Multiple Platform” è uno degli snodi principali di questo pacchetto della Thomson: insegna come i lettori consumano le notizie sui vari siti social, per poi addentrarsi anche sulla produzione di contenuti adatti alle diverse tipologie di luoghi di pubblicazione.

    Si parla anche di Business.

    In questo bundle di corsi che si chiama TFJN, Thomson Foundation Journalism Now, si parla anche di affari sempre con Chris Birkett con il corso “The Business of Journalism: Creating a Brand & Building an Audience“. Capisci dal titolo che è un vero concentrato di indicazioni su come creare modelli di business vincenti per i mojoer e per i giornalisti di oggi. I quali devono essere brand, devono essere talmente riconoscibili nel loro campo dal divenire fonti dirette di informazione, senza l’intermediazione di un editore.

    Già che sono metto giù anche i prezzi: si va dai 350 dollari del corso tenuto da Glen Mulcahy sul mobile journalism fino ai corsi free. Aggiungo anche un paio di altre notizie che possono essere molto utili. Proprio direttamente dall’amico Glen è arrivato un codice sconto di lancio per i due corsi prodotti da lui che ha definito questa avventura come “molto impegnativa, ma importantissima, visto il valore che la Thomson sta dando al mojo”. Si tratta di “mojolaunch50Glen” che abbasserà al 50% le tariffe dei due percorsi firmati Mulcahy.

    La Thomson Foundation guarda oltre.

    C’è un altro modo interessante per regalarsi questi corsi da sogno: se uno riesce a completare efficacemente due dei tre corsi Free contrassegnati con la sigla JN01, JN02 o JN07, avrà libero accesso a un corso a pagamento a scelta. Insomma ragazzo, fatti un mazzo così e studia i corsi gratis. Poi fai quello di Mulcahy: ci siamo capiti?

    Buono studio con la Thomson Foundation, una istituzione che guarda molto lontano e vede molto bene.

  • Applicazioni per filmare: Mavis, una magic box

    Applicazioni per filmare: Mavis, una magic box

    Applicazioni per filmare: un mare di opportunità da scoprire.

    Le Applicazioni per filmare sono un punto molto importante della produzione mojo. Essendo un fan del “pure” mojo, propendo per l’uso massimo delle fotocamere native dei cellulari che utilizzate per il vostro lavoro. A mio avviso è un ottimo punto di partenza per l’esercizio e per sapere “a mani nude” tutto quello che può esprimere il tuo aggeggio, prima di fare acquisti. Il momento di passare di grado, tuttavia, arriva presto e allora ti conviene sapere quali sono le migliori applicazioni per filmare. Cosa ne penso io? Penso che valga la pena cominciare da Filmic Pro, specialmente se sei Android, ma devo dire che, nel mondo iOS, c’è una valida alternativa che si chiama Mavis.

    Dall’Inghilterra con furore.

    Mavis è prodotta da un team di Brighton nel Regno Unito e si rivolge ai professional dell’immagine con una serie di caratteristiche che, talvolta, fanno anche spavento. Qualche mese fa ne abbiamo parlato con uno dei membri di questo team, Patrick Holroyd del reparto marketing presente a Galway per Mojocon 2017. Ecco la sua intervista che rivela le principali caratteristiche della app, davvero sconvolgenti per precisione ed efficacia.

    Mavis ti regala pieno controllo sul colore con gli spettrografi necessari, pieno controllo sul focus, differenti tipologie di filming a seconda dei formati, completo controllo sulle specifiche del file (ma come sai, per me filmare in 16/9 a 1280 per 720 è più che abbastanza). Nei confronti di Filmic Pro cede un attimo nel controllo audio che è solo su microfoni esterni (se le mie prove non mi hanno ingannato).

    Cambio di fuoco? Fulminante.

    E’ velocissima, forse la più veloce delle applicazioni per filmare. Mavis è un must have delle applicazioni per filmare per un motivo semplice. Stupisce il modo con cui valorizza la camera nativa del tuo telefono rendendola professionale. Vuoi fare il bianco? Lo fa. Vuoi cambiare il fuoco automaticamente? Lo fa. Oltretutto il tempo di messa a fuoco è fulmineo così come sono approfondite e curate le grafiche per la valutazione dell’inquadratura come i “false colours” o le zebre per indicare zone sovraesposte e sottoesposte. Un vero rammarico? Non poterla testare sul mondo Android dove ci sono processori interessanti che farebbero fare a questa app cose migliori.

    E’ una delle applicazioni per filmare “top”

    Insomma, non mi piace dare alle applicazioni per filmare (o alle altre) che sono di un mondo solo troppa importanza, ma Mavis merita tutta l’attenzione per la facilità con cui si riesce a usare (ha perfino il fuoco col mirino) e per i risultati di ripresa che regala. Insomma, se hai un iPhone e vuoi salire quattro piani più su nelle tecniche di filming, Mavis è un’ottima alternativa a Filmic Pro. A mio avviso, anche il prezzo di poco sotto i 20 euro (tipo 18,99) è uno sforzo che vale la pena fare per i risultati che regala.

  • Social media: il giornalismo è una conversazione, te ne sei accorto?

    Social media: il giornalismo è una conversazione, te ne sei accorto?

    Il giornalismo ai tempi dei social media.

    Allora, se sei uno studente di giornalismo o un giovane giornalista devi dirmi una cosa: ti hanno mai detto che il giornalismo è una conversazione? Se la risposta è no, lo faccio io, ma ti dico che dovresti essere notevolmente incazzato con chi non ti ha insegnato (e doveva) che il giornalismo ai tempi dei social media è una conversazione. Effettivamente mi sono dovuto documentare anche io, riguardo a questa nuova caratteristica del giornalismo: ho dovuto studiare parecchio. Già, perché avendo 46 anni sono nato, come giornalista, in un’epoca nella quale il mio mestiere non era ancora così. Oggi lo è e ringrazio il cielo di averlo capito, studiato, verificato, testato e sviluppato. C’è un piccolo problema, però: in Italia nessuno (o quasi) lo insegna e nessuno (o quasi) usa correttamente questa caratteristica del giornalismo ai tempi dei social media.

    Prima lo strumento, poi mi incazzo.

    Prima di incazzarmi col mondo rotondo, ti dico subito lo strumento indispensabile per capire a fondo questo nuovo mondo del giornalismo e i suoi strumenti. Si tratta di un libro che ho trovato in rete e che sta cambiando radicalmente il mio modo di fare la professione. Nella mia esperienza non ho trovato fonti di conoscenza professionale che mi abbiano fatto comprendere bene questo meccanismo fino al momento in cui ho incrociato “Mobile and Social Media Journalism, a practical guide” del professor Anthony Adornato. Si tratta di un italo-americano che ha fatto una splendida carriera e ora insegna Mobile e Social Media Journalism al college di Ithaca.

    Ha realizzato un manuale di straordinaria importanza partendo dal suo corso e formattando le caratteristiche del nuovo giornalismo. Io sto studiando questo testo con una voracità tale da farmi diminuire le ore di sonno la notte e ci trovo tutto il paradigma della nuova interpretazione che si deve dare al mestiere del cronista. Social media e giornalismo sono un binomio inscindibile e devono essere tenuti insieme e utilizzati per un migliore servizio all’audience, non per sparare opinioni o sentenze (o peggio fare clickbait).

    Il concetto principale di Adornato.

    Ecco il concetto principale che Adornato mette in chiaro in una delle pagine iniziali del suo testo universitario e che rappresenta, molto probabilmente, il cuore del suo lavoro:

    Il giornalismo ha subito un cambiamento da conversazione a una direzione (il giornalista produceva la notizia, la pubblicava, il lettore la leggeva ndb) in una conversazione a due direzioni. Questo sta ridefinendo il ruolo dei giornalisti e il modo in cui devono interagire con il loro pubblico. Pensa al giornalismo, quindi, come a una conversazione a due vie, non come la creazione di qualcosa da leggere.

    Gli editori, ora come ora, non possono più ignorare i lettori attivi sui mobile e sui social media. Il giornalismo, visto come una conversazione, è visto come un’azione condivisa tra giornalisti e audience. Il giornalismo visto come una conversazione incoraggia l’interazione tra giornalista e audience. Invita il giornalista a usare un tono informale, ad ascoltare, ad aprirsi al feedback del lettore stesso. Le device mobili e i social media, quindi, permettono al giornalista di rafforzare la sua connessione con il pubblico, con il preciso obiettivo di servirlo meglio.

    Sono un filo sconvolto (e qui mi incazzo)

    Un concetto semplice, lineare, quanto sconvolgente almeno nella mia testa. Sconvolgente perché ho visto quanto devo ancora fare io in questo percorso e quanto non fanno i giornalisti italiani. Spero che il motivo sia che nessuno glielo ha fatto capire, che nessuno glielo ha insegnato. Sono semiconvinto, tuttavia, che non sia proprio così. Già, perché alcuni giornalisti usano molto bene i social, ma per un sacco di cose tranne fare giornalismo, migliorare il loro giornalismo, interagire col pubblico per servirlo meglio. Ci sono, invece, una pletora di colleghi che coniugano le parole social media e giornalismo con il gioco della faziosità, del parteggiamento, dell’opinione, della seduzione, dello schieramento o, quando sono più normali, del sano spaccio di click al loro lavoro. Bene, fatta salva quest’ultima naturale (e forse utile) indicazione, non abbiamo proprio capito un cazzo dell’uso dei social media per fare giornalismo in Italia.

    I social media non sono un optional, sono un dovere.

    Concludo dicendo che i social media per il giornalista moderno, sono uno strumento di base e fanno assolutamente rima col mobile journalism. Sono necessari per la creazione di una community, per il rapporto con il pubblico, per il reperimento di notizie, per porre delle domande o dare delle risposte. Devono, tuttavia, essere collegati all’esercizio della propria professione, non al cazzeggio e allo sparo della propria opinione. Mi sono sforzato di pensare a un giornalista italiano che utilizzi i social media come strumento integrato per il suo lavoro, sfruttando a pieno le due vie di questa conversazione, chiedendo e rispondendo, condividendo cultura e notizie, interagendo con chi lo legge per servirlo meglio. Dimmi chi lo fa, ti prego, dimmi che mi sto sbagliando, dimmi che te lo hanno insegnato. Quanto spero di sbagliarmi e quanto ho paura di non sbagliarmi.

  • Recensione: Samson Go Mic Mobile, grande tecnologia per i mojo

    Recensione: Samson Go Mic Mobile, grande tecnologia per i mojo

    Recensione di un oggetto “must have” con un solo difetto.

    Ho deciso di fare la recensione di Samson Go Mic Mobile per un motivo semplice: è quello che uso ed è quello che penso sia il migliore “compromesso” tra il prezzo e la tecnologia, utile al mojo per raggiungere il miglior risultato audio possibile. Anche la leggerezza, la velocità di montaggio e la versatilità fanno del Samson Go Mic un perfetto compagno di viaggio, specialmente per coloro che lavorano nel mondo delle news e devono essere operativi in pochissimo tempo.

    Il Samson Go Mic Mobile? Soddisfa un sacco di esigenze.

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    Non negherò il difetto che ho riscontrato, vale a dire la qualità non eccellente dei materiali di fabbricazione, ma confermo il giudizio positivo dopo aver testato l’usabilità e l’audio in uscita dal Samson Go Mic Mobile, un’uscita pulita e di alta qualità sia durante le interviste (fate solo attenzione a non alzare troppo il gain del microfono, visto che è molto sensible), sia durante le dirette Facebook.

    La “convergenza”

    Insomma, il concetto principale di questa recensione del Samson Go Mic è la sua “convergenza” verso la soddisfazione di più esigenze che sono molto importanti per i mojoer: la tecnologia è di alto livello, la qualità del suono è ottima, il peso è quello ideale per continuare a fare in modo che la mojo bag resti sostanzialmente leggera, l’adattabilità a tutti gli smartphone di nuova generazione è garantita dai vari cavi presenti nella confezione, la velocità di allestimento e collegamento è quella che serve al mojo per essere operativo in pochi secondi. Insomma, il Samson Go Mic fa centro in molti settori, anzi in tutti i settori tranne uno.

    Il materiale, unico punto debole.

    La staffa con la quale il Samson Go Mic Mobile esce dalla fabbrica, non ha la femmina per il treppiede nella parte inferiore. La mia esigenza personale di metterlo sullo Shoulderpod, la maniglia per fare riprese on the go, ma anche sul teppiede stesso, ha fatto in modo che io cercassi di staccare le due miniviti che attaccavano la parte inferiore della staffa per mettere quella con la femmina universale per treppiede che c’è nella confezione di partenza come pezzo di ricambio. Ebbene, operazione complicata e vitine spanate in qualche giro di cacciavite. Se non avessi trovato un ferramenta illuminato (grazie Vito) che trovava altre due vitine nuove per la sostituzione, sarei rimasto a piedi. Questo solo per invitare la Samson a lavorare sulla qualità dei propri materiali di costruzione.

    Se l’ottimo prezzo di vendita (attorno ai 250 euro per il set gelato più mixer, cui si può aggiungere il secondo trasmettitore lavalier per un centinaio di euro in più) fosse stato un pochino più alto e tale da garantire dei materiali migliori, la mano al portafoglio ci sarebbe andata lo stesso. Spero che Samson ne tenga conto.

  • Reuters Digital News Report 2017: in Italia solo il 5% paga per le news online

    Reuters Digital News Report 2017: in Italia solo il 5% paga per le news online

    Il Digital News Report della Reuters serve a capire dove siamo.

    Questo blog ha l’ambizione di essere anche una fonte di documentazione sulla professione giornalistica che possa aiutare chi lavora in questo campo a comprendere meglio l’epoca in cui viviamo e la direzione che sta prendendo. In questo senso il Digital News Report della Reuters, pubblicato con l’Università di Oxford, è una sorta di faro nella notte per capire quale sia la strada da prendere.

    Studiando queste cose, noi mobile journalist freelance (per la maggior parte), non possiamo pensare di risolvere il problema del nostro esangue portafoglio o del destino dell’editoria. Su questo tipo di documenti, invece, dobbiamo pensare e valutare le possibili soluzioni per proporre nuovi contenuti ai nostri clienti o a pensare di fare formazione su nuove tendenze del giornalismo e della creazione di prodotti multimediali.

    Una specie di cartina geografica.

    Questo Digital News Report ci racconta come sono i principali mercati mondiali della notizia e ti può essere utile come fosse una cartina geografica. Indica delle strade, dei trend, degli indicatori di crescita in certe aree delle digital news piuttosto che in alte. Naturalmente se non sai fare video sei un filo fuori dalle possibilità di intraprendere la strada dei contenuti nuovi, dei prodotti che servono al mercato della comunicazione oggi. Per questo, dopo aver letto questo report, ti consiglio di andare qui a iscriverti a un corso base di Mobile Videomaking della community Italianmojo. Imparerai a fare video professionali con il telefonino che hai in tasca. In da quel momento in poi, capire i trend, capire i cambiamenti del mondo delle news sarà più facile.

    La bastonata ai giornali italiani.

    Sono andato a pagina 78 del report per scoprire che ne pensano dell’Italia. Ti rivelo subito una cosa: in Italia pagano per le news digitali il 5% delle persone che “consumano” news. Una percentuale avvilente, stante il fatto che per fare buone news servono soldi.  Eccoti la frase “bastonata” allo stato dei giornali italiani passati da 6 milioni di copie nel 2000 a 2,5 nel 2016…

    Newspaper readership has always been low in Italy and the press landscape consists of commercially weak quality papers addressing an elite and politically defined audience. The weakness of the Italian press has fostered its reliance on external sources of financing, such as public subsidies and private business sponsorship, which has made it somewhat subject to both political and economic influence. Newspaper circulation in Italy has decreased from more than 6 million copies per day in 2000 to a little more than 2.5 million in 2016.37. The two main players, Gruppo Espresso, which publishes La Repubblica, and RCS, which publishes Il Corriere della Sera, together account for about 40% of the sector revenue.

    Hai capito? Ti traduco io: il contesto è fatto di giornali di bassa qualità che si rivolgono a una definita elite politica. La debolezza della stampa italiana è dovuta principalmente alle fonti esterne di finanziamento, come i sussidi pubblici o le sponsorship private che hanno messo il sistema sotto l’influenza della politica e dell’economia.

    Ecco il documento: Digital News Report 2017 – Reuters. Buona lettura, spero tu possa trovare la tua strada.

  • Mobile journalism: ecco i punti di riferimento per il futuro.

    Mobile journalism: ecco i punti di riferimento per il futuro.

    Mobile journalism: abbiamo bisogno di eroi.

    In queste ore ho riflettuto sulla mia storia all’interno del mondo del mobile journalism e ho scoperto una cosa molto interessante: sono un alunno, non un professore. Un alunno che condivide ciò che impara e che impara da coloro che condividono. Certo, in Italia questa dichiarazione può anche far rima con la parola coglione.

    La cosa non mi cruccia: il ruolo che mi sono preso nel mondo del mobile journalism è quello di chi apprende e poi divulga, di chi aiuta gli altri a conoscere nuovi mondi e nuovi modi di fare il giornalista. In questo momento gli “altri” colleghi, magari, non hanno nemmeno il tempo di alzare la testa e guardare l’orizzonte: io cerco solo di dare una mano a te e a qualcun altro, affinché possiate tutti alzare lo sguardo, se lo desiderate, per vedere cosa sta succedendo.

    Con la necessità urgente che abbiamo di giornalismo vero e di qualità, ti confesso che, a mio avviso, abbiamo bisogno anche di eroi. Ho deciso di condividere anche quelli, certo che ti possano aiutare a vedere cosa succederà domani e dove devi andare. Altrimenti ti perdi, anzi, ci perdiamo.

    Lo choc è che i miei maestri son tutti bambini (o quasi)

    Potrei dirti che i miei maestri sono Michael Rosenblum o Ivo Burum, Glen Mulcahy o Ilicco Elia, ma effettivamente mi sbaglierei. Quelli sono i maestri che hanno fatto la storia del mobile journalism. Volendo andare più avanti sono coloro che tengono le fila del presente e lo fanno crescere. Quelli che indicano la strada per il futuro, invece, sono altri.

    Yusuf Omar e la visione di #hastagourstories

    Il primo che ti voglio citare, fra i miei maestri, è Yusuf Omar che, in questi giorni, sta completando il giro del mondo con il suo progetto #hashtagourstories. E’ del 1989, è nato in Inghilterra, ha studiato negli Usa, è diventato grande lavorando in Sudafrica, poi ha realizzato la più strepitosa redazione di mobile journalist del mondo, quella dell’Hindustan Times. Si è sposato con la CNN per fare l’editor di Snapchat, ma ha mollato la compagnia dopo 7 settimane per lavorare al suo progetto globale che vuole portare il mobile journalism dove non c’è.

    Il suo sogno? “Informare e coinvolgere i mobile storytellers ad abbracciare la rivoluzione in atto nei media. Vogliamo creare – racconta dal suo sito – una piattaforma multicanale che parta dai mobile e arrivi ai mobile”. Un ecosistema nuovo dell’informazione: senza la tv, senza i media tradizionali, “armato” da chiunque abbia uno smartphone in mano e sappia fare della informazione corretta e di qualità”. Un visionario che la pensa come me che nell’ultimo evento pubblico ho dichiarato “Voglio un mondo pieno di giornalisti e senza editori”.

    Francesco Marconi, l’italiano che cambia il mondo dei media.

    Non lo conoscevo: giuro. Poi qualche giorno fa ho incontrato una sua ricerca con il future lab di Ap sull’Augmented Journalism e mi sono innamorato di lui. Francesco Marconi ha 30 anni, quindi è del 1987, è italiano, figlio di un romano e di una portoghese. E’ un genio, ha studiato ad Harvard, è fellow al Tow Center for digital Journalism e researcher al Mit Media Lab di Boston. Ti basta? Ha scritto un libro magnifico che si intitola Live Like Fiction, un libro che io ho letto in un giorno e sto rileggendo, perché è di quelli che ti cambiano la vita. Cosa fa? Si butta nel futuro dell’informazione e cerca, cerca, cerca. Per questo lo devi, ripeto, lo devi seguire. Ogni suo tweet è un distillato di domani scodellato oggi. E’ incredibile la quantità di informazioni che riesce a divulgare e la potenza con cui usa l’automation senza sembrare un robot. I suoi lavori che devi leggere negli ultimi tempi sono questi due: Aumented Reality e 3D Journalism. Dacci dentro.

    Mark Little e il Netflix delle news (con un tocco di AI)

    Mark Little è il fondatore di Storyful, piattaforma che aiuta le grandi organizzazioni di news a creare storie verificate dagli UGC e dai social. Già questo potrebbe tranquillamente fare di lui un fenomeno. E’ stato anche un giornalista di RTE e non credo sia un giovane come i due di cui ti ho parlato qui sopra. Dopo aver venduto Storyful a News Corp ha girellato a Twitter, ma ieri è uscito allo scoperto con i Neva Labs con i quali ha deciso di impostare una nuova media company che si interesserà di questo.

    What would happen if each one of us took control of the artificial intelligence that powers our news experience? What kind of conversation would we have with our smarter ‘woke’ selves? How much more would we trust the news if it rewarded our attention rather than distracted it?

    News e AI andranno a braccetto. I nuovi modelli di produzione delle news dovranno fare rima con distribuzioni delle news stesse ben diversi da quelli che abbiamo oggi. I nuovi canali saranno responsivi, adattabili a chi li usa, dedicati alla verifica della bontà delle news stesse come alla loro targettizzazione che le farà diventare come uno strumento utile e qualitativo per migliorare la nostra vita. Mark Little è pronto a creare un nuovo business secondo questi concetti, ma anche secondo un modello che potrebbe avvicinarsi a quello di un Netflix per le news, idea parecchio interessante.

    Tre maestri e una maestra.

    Insomma gli algoritmi che vivremo non saranno solo quelli autoreferenziali dei canali social, ma quelli che imparano dalla nostra esistenza e ci fanno recapitare nei nostri aggeggi le notizie che veramente ci servono. Certo, questo apre un dibattito senza fine sull’etica e sulla privacy, ma andiamo irrimediabilmente in quella direzione. E Mark Little è un maestro dell’argomento, assieme alla collega Aine Kerr.

    Tre maestri (e una maestra) sono abbastanza, per oggi. Un’ultima nota: i maestri sono infiniti, come i sogni. Basta cercarli.