Tag: mobile journalism

  • Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Quei momenti in cui vorresti un diavolo di selfie stick

    Forse a quell’Indro Montanelli, ritratto nella foto seduto fuori dalla porta del Palazzo a picchiettare sulla sua Lettera 22 non serviva un treppiede. A chi fa mobile journalism ne serve almeno uno (se non due) per essere operativi quando si è sul campo. Se poco c’è da dire sulla questione supporto per immagini ferme (ce ne sono di tutti i generi e di tutti i prezzi, ma io consiglio roba cinese da poco che non ti ammazzi se lo dimentichi in giro), un discorso di altro livello si deve fare per il treppiede da tavolo. Per un motivo semplicissimo: è un oggetto che sviluppa più funzioni necessarie nel momento in cui si “scopre” una storia e non si è adeguatamente attrezzati per realizzarla al volo, ma si deve.

    Spiego meglio: ci sono istanti, magici, nei quali, sbatti contro una storia e non sei adeguato a prenderla. Ti manca il microfono, magari le lenti, un handheld per le immagini di copertura, il treppiede per prendere un’intervista. Come fai per coglierla ugualmente? Uno solo il rimedio, devi girare sempre armato, ma di armi leggere… In quegli istanti (a me ne sono capitati due perfino a Casargo, paese sperduto dell’Alta Valsassina) pure un selfie stick si trasforma in una nave stellare multifunzione per far decollare la tua storia. Per quello bisogna averne uno, magari telescopico, ma molto più utile è un treppiede, anzi il treppiede coi controfiocchi…

    Ecco un vero “coltellino svizzero”.

    Alcuni fra i mojoer più importanti del mondo dicono che il telefonino è lo “Swiss army knife” dei giornalisti, ma a mio avviso lo è anche il mitico iKlip Grip Pro, prodotto dell’italianissima iK Multimedia (davvero geniale questa company modenese). Si tratta di un prodotto che associa la funzione del treppiede, a quella dell’Handheld, a quella del treppiede telescopico e del selfie stick. Insomma cerchi un selfie stick e trovi uno di quei tesori che trasforma il tuo nomento di smarrimento (oddio la storia mi sfugge) in un momento in cui sguaini la spada e la fai. Ecco le varie funzioni in una galleria foto.

    Non credo serva spiegare cose ulteriori, anche se due chiacchiere sul mitico aggeggio, diventato per me un oggetto indispensabile, le ho fatte sulla mia fanpage nella diretta che puoi ritrovare a questo link. Credo, invece, che sia il caso di mettere definitivamente questo aggeggio nei must have della borsa del mojoer, con una grande controindicazione che rivolgo, come appello, alla iK Multimedia.

    Il grosso lato negativo: il materiale.

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    Comprendo che l’iKlip Grip Pro sia un oggetto fatto per chi cerca un selfie stick e si ritrova tra le mani un coltellino svizzero multifunzione, ma se all’azienda sta a cuore l’opinione dei mojoer, voglio dire che l’unico grosso neo di questo oggetto che è importante per il lavoro dei giornalisti mobili è il materiale. Questo attrezzo, infatti, consegna stabilmente l’impressione di essere troppo leggero e di non assicurare adeguatamente lo smartphone alla sua struttura.

    Nell’uso da treppiede telescopico, poi, subisce ogni sussulto e spostamento rischiando la caduta. Certo, ci sono “precauzioni” facilmente adottabili che assicurano una buona dinamica di lavoro ugualmente, ma sicuramente preferirei concentrarmi sull’inquadratura sicuro al 100% dell’efficienza dello strumento, invece che tenere una mano sul treppiede per paura che cada. Non succede, ma anche l’impressione conta. Per cui per iKlip Grip Pro tanti plus e un minus. Lo puoi acquistare, per ora, solo negli Apple Store o a questo link qui 

  • Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

    Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

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    Brand Journalism: si parla di un marchio e del suo sogno.

    Uno dei campi nei quali il mobile journalism può rappresentare un linguaggio peculiare e un’opportunità importante per chi lo pratica è quello del Brand Journalism. In questi mesi sto vivendo un’esperienza professionale di grande soddisfazione con il designer Gianni Speciale e la sua “firma” di esclusivissime biciclette artigianali realizzate in legno. Gioielli unici, “diamanti” a due ruote, se vogliamo facilissimi da raccontare. Il motivo? Sono emozionanti e il brand journalism, nuova tendenza delle pubbliche relazioni delle aziende, quello racconta: l’emozione. L’emozione che si prova ad avere quel determinato prodotto, a vestire quel capo, a pedalare quella due ruote.

    Con il team di Speciale abbiamo deciso di partire raccontando il “daydream”, il percorso, il sogno a occhi aperti di un artigiano che ha oltrepassato i confini della sua stessa natura per diventare un vero designer.  In grado di creare delle bici talmente belle da essere considerate un oggetto da esposizione. Ecco l’inizio della nostra nuova immagine digitale, prodotto tutto con tecniche di mobile journalism.

     

     

    Questione di valori.

    Il brand journalism è uno dei nuovi sbocchi professionali per il giornalismo perché è dai giornalisti che va sviluppato. Ormai il consumatore è attivo, informato, preciso, esigente e veloce nell’arrivare al punto. L’azienda, di conseguenza, che vuole proporsi in modo efficace sul mercato, deve diventare una produttrice di contenuti che abbiano dignità di notizia. News che possano regalare informazioni inedite ed esatte a chi, potenzialmente, vuole acquistare un bene, specialmente se di “super lusso” come quello nel video. Per questo il brand journalism è questione di valore e di valori. I quali vanno amministrati secondo la deontologia professionale dei giornalisti e secondo l’onestà del codice deontologico dei giornalisti (ammesso esista ancora, scusami la battutaccia).

    Qui ci trovi il mio mojo.

    Non c’è dubbio che ho cercato di dare la mia impronta a questo video. Con un ragionamento semplice: gli effetti sono pochi, le inquadrature semplici e intense. Come quella della foto in testa a questo articol. Foto che ritrae il designer che “si abbraccia” proprio mentre, nel suo discorso, dice le parole “l’abbraccio del manubrio”. Non voglio tirarmela, ma voglio farti un esempio: il mobile journalism è il solo linguaggio delle professioni visive che possa darti questo tipo di immagini pensate. Ad alta qualità concettuale e con un prezzo contenuto. Questo è tutto il mio mojo, anzi questo penso che sia il mojo. La possibilità di raccontare un’emozione con un video pensato “frame per frame”, con un attrezzatura semplice e con un tempo dimezzato rispetto al consueto tempo di esecuzione di un lavoro del genere. Brand journalism e mojo: binomio vincente.

     

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  • Wireless Stick: la regina dei guai per un mobile journalist

    Wireless Stick: la regina dei guai per un mobile journalist

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    Wireless stick: un aggeggio porta guai.

    Ho provato sulla mia pelle cosa vuol wireless stick dire avere una Wireless Stick della Sandisk e vi consiglio di non fare lo stesso errore che ho fatto io. Il trasferimento dei file, lo scaricamento della memoria dell’iPhone e dell iPad quando filmi o quando monti è un momento essenziale della vita del mobile journalist. Devi avere a che fare con strumenti a prova di bomba che permettano di ottenere risultati sicuri, nel minor tempo possibile e nel modo più stabile possibile.  Uno di questi strumenti era la iXpand della Sandisk che puoi vedere nella foto qui accanto. Uno strumento insostituibile, una di quegli oggetti che, se li perdi, ti viene da piangere. E’ utilissimo, indispensabile. Quello lì era anche stabile fino a quando, tra mille porchi, mi sono accordo di averlo perso.

    Mi sono detto: “Provo”

    Una delle cose che non mi piacciono del lavoro in mobilità è la quantità di fili e oggetti che uno si deve portare dietro quando va in giro. Mi atterriscono due cose: la possibilità di perderli e la possibilità di romperli. Per cui, quando ho visto  che la Sandisk, marca leader mondiale dei supporti hardisk, faceva una chiavetta simile a quella appena persa con le caratteristiche di una wireless stick, allora mi sono deciso a provarla.

    Quel pensiero, quel “Provo”, mi è costato abbastanza caro in termini di ore perse a cercare di capire perché, dopo giorni di discreto funzionamento, l’iPhone abbia iniziato a non vedere più la rete wireless creata dalla chiavetta e a non trasferire i file, nemmeno sotto tortura. Per spiegare l’accaduto e per scusarmi con i miei lettori e i miei corsisti, cui avevo consigliato questo prodotto definendolo come discreto, ma lento, ho deciso di metterci la faccia e di fare all’impronta una diretta Facebook dalla mia fan page che puoi trovare qui.

     

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  • I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    Mobile videomaking: un’arma in più per tutti.

    Sto preparando il corso di mobile videomaking che farò il prossimo 8 luglio nei locali di MilanoAllNews. Man mano che avanzo con la conoscenza del mobile journalism e del mobile videomaking, mi rendo conto dell’importanza di questo linguaggio per tutti, sia a livello professionale, sia a livello personale. E quando dico tutti, penso proprio a tutti. Il motivo? Semplice: il linguaggio visivo sta diventando il mezzo principale di comunicazione per tutti, forse ancor di più rispetto alla parola scritta. In molte, moltissime situazioni della giornata, riceviamo informazioni, messaggi input sotto forma di linguaggio visuale e in altrettante situazioni dobbiamo essere noi a mandare messaggi video ad altri.

    E’ il caso di farlo… e per bene.

    Piccolo “nanetto”, come direbbe Nino Frassica per dire aneddoto. Sono andato con mia nipote al concerto di Radio Italia in Piazza Duomo.  Cerco di renderti l’idea, con una foto, dello spettacolo che mi sono trovato davanti.

    mobile videomaking

    Mi ha fatto impressione vedere in quante mani c’era un telefono, strumento di condivisione dell’emozione e delle cose positive di una vita. Telefonini che filmavano, in attesa di postare questa o quella canzone, questa o quella sensazione vissuta sui social o sui propri strumenti di vita digitale. Ognuno dei giovani che avevo davanti con un telefonino in mano potrebbe avere bisogno dei fondamenti del mobile videomaking. Anche soltanto per trasferire meglio le sue emozioni filmate. Figuriamoci per il lavoro o per lo studio.

    I 10 motivi buoni (e ti sfido a non riconoscerti almeno in uno)

    Ecco, quindi, una manciata di ottime ragioni per partecipare al primo corso di Mobile Videomaking al quale ti puoi iscrivere cliccando qui e seguendo la procedura di iscrizione al meet up con il contestuale pagamento della quota di partecipazione.

    1. Venendo al corso di mobile videomaking forse la smetterai di filmare in verticale (visto che il tuo computer e la televisione da cui guardi i video sono orizzontali). Se sei di quelli che preferiscono il formato verticale, almeno saprai come filmarlo e che grammatica usare.
    2. Se vieni al corso “movi” scoprirai come si fa un’inquadratura ferma e corretta per armonia delle linee o dei punti di fuga. Se sei buono ti diremo anche con quali supporti e con quali app farla perfetta.
    3. Se vieni a fare un giro al corso potrai sapere come mai Brunetta guarda sempre in camera e un intervistato quasi mai.
    4. Fai l’artigiano o il commerciante? Se vieni al corso di mobile videomaking potrai fare correttamente dei video di presentazione dei tuoi prodotti o dei tuoi servizi.
    5. La possibilità di sapere i fondamenti del videomaking col telefonino può dare opportunità di comunicazione di un brand o di un business con costi pari a zero.
    6. Se ti va di conoscere il mobile videomaking imparerai un linguaggio visivo che è diverso dal videomaking classico. Un linguaggio che può farti arrivare dove le normali telecamere non arrivano, ma non si sovrappone a quello dei professionisti classici dell’immagine. E’ semplicemente diverso.
    7. Se sei un videomaker e vuoi affrontare il mondo della ripresa con il telefonino per differenziare la tua offerta, questo è un modo per iniziare.
    8. Vuoi imparare un modo di pensare completamente smarcato e “out of the box” per creare ricchezza e lavoro? Vieni al corso di mobile videomaking. Non è una questione di telefonini, è una questione di cuore e di testa.
    9. Vuoi avermi come amico e spacciatore di consigli per sempre? Beh, vieni al corso di mobile videomaking e vedrai che ti faccio una sorpresa.
    10. Qualsiasi lavoro tu faccia potresti avere bisogno di un video fatto bene. Pensaci: un documento filmato, una presentazione, uno speech, una video intervista, un video che racconta un prodotto o un servizio, un video curriculum. Non è meglio imparare a farlo con l’aggeggio che hai già in tasca e che hai già pagato?

    Spero di averti convinto a fare l’iscrizione e spero di cuore di vederti ai nostri appuntamenti dei prossimi giorni.

  • Video a 360 gradi, ecco i segreti del professor Hernandez

    Video a 360 gradi, ecco i segreti del professor Hernandez

     

    I Video a 360 gradi? Sono il futuro dei mojoer.

    A Mojocon 2017, la mobile journalism world conference, ho avuto occasione di fare una proficua chiacchierata sui video a 360 gradi con il professor Robert Hernandez. Si tratta di uno dei più importanti innovatori mondiali della materia. Una buona parte del suo lavoro la puoi trovare qui e nella sua biografia presso la USC Annenberg, la University of Soutern California dove è professore di Digital Journalism. Con lui ho parlato di video a 360 gradi chiedendogli consigli utili per quello che penso sia una delle strade possibili per il futuro.

    Il suo Journalism e i suoi percorsi.

    “Posso dire che lavoro in questo campo specifico – mi ha raccontato Hernandez a Galway – da un paio d’anni. Ho iniziato con la realtà aumentata, poi ho sperimentato la produzione di contenuti editoriali anche con Google glass e con gli wearables. Come insegnamento, invece, negli ultimi due anni mi sono concentrato sull’immersive storytelling. Con i miei studenti produciamo pezzi che sono giornalistici, ma essendo in Virtual Reality abbiamo ribattezzato il nostro lavoro con il neologismo jovrnalism. Collaboriamo con il New York Times, con NPR, con Desert Sun e altri”.

    I consigli del prof sui contenuti video a 360 gradi.

    Come al solito ho un modo di fare molto “basic” con questi grandi interlocutori. Anche al professor Hernandez, uomo di una simpatia contagiosa, ho chiesto consigli su cosa si può fare di utile, di vendibile, di efficace per i mojo.

    “Ci sono alcune cose interessanti, alcuni progetti che si possono sviluppare – mi ha risposto -, anche se tutto dipende dal budget. Se desideri sviluppare progetti low cost i prodotti come la Insta Nano 360 o la 360 Air per Android sono buone soluzioni per fare video a 360 gradi, ma anche foto. Con quelle puoi, oltre a produrre contenuti multimediali, andare anche live su Periscope, su Facebook e anche su Youtube”.

    Si ma come campi? Con Thingkink

    Questi contenuti certamente sono i primi passi che si possono fare dentro il mondo del video immersivo, ma di direttamente vendibile c’è poco. Sono strumenti importantissimi, tuttavia, per fare in modo che attorno a te, mojoer che li usi, si crei un interesse. L’interesse poi ti porta agganci con clienti oppure alla stessa vendita di questi tipi di contenuti o della tua professionalità. Il professor Hernandez, diciamolo, sta in un altro pianeta, ma nell’ultima parte dell’intervista poi piazza un bel colpo, un ottimo suggerimento.

    “Poi c’è un’altra compagnia che si chiama “thinglink” – ha raccontato -, la quale fornisce l’infrastruttura per questo genere di cose. Devi pagare un abbonamento, ma quello che “thinglink” ti permette di fare è interessante. A qualsiasi immagine puoi aggiungere degli hotspot che ti fanno vedere altri contenuti come immagini 360 o addirittura video a 360 gradi. Il risultato è un contenuto immersivo, che, grazie a questi hotspot, “aumenta” il suo valore”. Questo è un ragionamento molto interessante.

    Un esempio molto interessante di contenuto con Thinglink

    Calata nella realtà, la proposizione di contenuti innovativi per la pubblicazione è un’operazione coraggiosa da fare nel mercato dei prodotti giornalistici italiano… Da qualche parte, tuttavia, si deve cominciare, quindi tanto vale farlo sfruttando i consigli di innovatori come il professor Hernandez. Ecco un esempio interessante delle potenzialità di un contenuto fatto con Thinglink:

    Eccoti, invece, il video della mia intervista realizzata il 5 maggio a Galway con il professor Robert  Hernandez. “Per adesso non diventeranno mainstream”, ha detto più volte Hernandez a più interlocutori, ma io ti aggiungo soltanto una cosa. I video a 360 gradi sono il primo passo per diventare giornalisti immersivi e cominciare a “fare i conti” con un mondo che, in meno di 10 anni, potrebbe diventare il mondo di riferimento della produzione dei contenuti giornalistici.

    La mia intervista a Robert Hernandez
  • Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

    Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

     


    Gigabit Society in arrivo.

    Con l’arrivo della connessione mobile di quinta generazione, il 5G di cui ho già parlato in questo pezzo, la società che conosciamo diventerà la Gigabit Society. Cambierà tutto, cambierà anche il mondo dei media. Se sei un editore e capiti qui, specialmente se hai una tv, siediti, mettiti comodo, che ti dico una cosa. Fai parte del sindacato? Mettiti ancora più comodo che dobbiamo parlare. Sei un giornalista? Diventa un mobile journalist che ti conviene. Questione di sopravvivenza.

    Quando ho visto questo documento, non ci credevo.

    Mojocon 2017, la Mobile Journalism World Conference cui ho preso parte dal 4 al 6 maggio, è iniziata con una keynote di Richard Swinford, Head of Telecommunications, Information, Media & Entertainment (TIME) Practice, UK, di Arthur D. Little, uno dei più grandi studi mondiali di consulenza. Al centro le caratteristiche della Gigabit Society, la società che vivremo tutti quando avremo a disposizione il 5G.

    Il suo discorso è partito dallo studio commissionato da Vodafone alla sua azienda per descrivere e disegnare in modo particolareggiato il nuovo tessuto sociale che la connessione superveloce in mobilità potrà regalare. Il motivo per cui si è aperta così la Mobile Journalism Conference è semplice: dentro questa nuova società i media avranno una configurazione completamente diversa, in tutti i loro aspetti. Produzione, distribuzione, fruizione, canali, ecosistema. Tutto irrimediabilmente diverso.

    Prenditi tempo per leggere.

    Non so se hai abbastanza tempo per leggere questo report di Richard Swinford,  Camille Demyttenaere ed Eric Stok. Se non ce l’hai trovalo. Sinceramente ti conviene. Cambieranno trasporti, conoscenza, medicina, agricoltura, industria, commercio, finanza, scuola. La Internet of Things diventerà cosa comune.

    Cambieranno i media, perché si vivrà in un ecosistema in grado di bypassare completamente il dinosauro rappresentato dal broadcasting televisivo classico, partendo da produzioni in mobilità e arrivando a fruitori in grado di vedere, tramite le loro device, contenuti in 4k o in realtà aumentata.

    Vai a pagina 19 del report per comprendere meglio quali saranno le potenzialità del 5G  nei media, di un 5G che avrà la velocità da 1 a 20 giga al secondo, che potrà far lavorare alla stessa velocità 1 milione di oggetti connessi in un 1km quadrato, che potrà essere fruita anche a 500 km orari in movimento, che avrà una latenza inferiore al millisecondo.

    Ecosistema senza editori?

    Si trasferiranno in un secondo video da un giga, in una manciata di secondi film visibili in 4k senza tempo di attesa. In questo nuovo mondo gli editori non potranno non ridiscutere il loro ruolo. Ci sarà un ecosistema che, dalla produzione al delivery potrebbe anche fare a meno di loro. Ne parla apertamente Glen Mulcahy, capo di Mojocon in questa intervista che ha rilasciato a me qualche giorno fa.

    Dal proprio telefonino, passando per le piattaforme come Youtube e Vimeo, già in grado di consegnare streaming in 4k, si arriverà ai fruitori dei video senza passaggio intermedio dalla tv. Almeno che questi attori dell’editoria non si siedano con i produttori di contenuti e con le piattaforme. C’è da ricodificare il mondo dell’informazione. La rivoluzione è impossibile da fermare, bisogna salirci sopra e cercare di guidarla in modo inclusivo, mettendosi tutti in discussione e dandosi nuovi traguardi. Insieme.

    Messaggio a Ordine e Sindacato.

    Se sei dell’Ordine o se sei del sindacato, della FNSI, scaricati questo report e pensaci su. Tutto deve cambiare, a partire dalla parola stessa, giornalista, vecchia come il cucù. Lo dice Michael Rosemblum, il padre del videogiornalismo mondiale: il giornalismo è morto, perché si è suicidato. Se non si attrezza per la società a 5G non risorge…

    Per questo gli attori del giornalismo italiano, Ordine e Sindacato, devono accorgersi della situazione e mettere gli editori di fronte a un fatto. Devono ridiscutere tutta la realtà dell’industria giornalistica nazionale. Non c’è possibilità alternativa. Se non quella di diventare un paese assolutamente periferico e decadente rispetto alla rivoluzione mondiale del mondo dei media. D’altronde se CNN e Al Jazeera, tanto per dirne due, hanno iniziato a salire su questo toro imbizzarrito del cambiamento, un motivo ci deve essere. Ecco, aspetto la Rai, Mediaset, La7, il Corriere, la Repubblica. Vi prego, prendete il mojo per le corna. Altrimenti vi disarcionerà.