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  • Mojocon è morta, ma la community del mobile journalism è viva

    Mojocon è morta, ma la community del mobile journalism è viva

    Oggi pomeriggio la notizia e i commenti si susseguono ancora.

    Allora, ho alcune notizie fondamentali sulla community internazionale dei mobile journalist che in queste ore sta fibrillando e non poco. Quali sono? Vado con ordine: il grande capo di Mojocon, la Mobile Journalism World Conference, sto parlando di Glen Mulcahy, ha lasciato la tv di stato irlandese RTE. Il tutto dopo aver fatto nascere e crescere la community internazionale della mobile content creation nell’arco di tre edizioni di una manifestazione nella quale ha riunito il meglio al mondo di questa cultura. Nella community si sapeva, ma non c’era alcun accenno di futuro per la manifestazione. Si sapeva dell’addio di Glen a RTE, ma non del destino di Mojocon. Fino a oggi pomeriggio.

    Con un “Important Announcement” proprio Glen Mulcahy ha comunicato di aver ricevuto dall’azienda dalla quale è dimissionario, l’invito formale a chiudere la fanpage di Facebook di Mojocon e l’account Twitter di Mojocon. La notizia ha scatenato un putiferio di commenti che si stanno susseguendo anche in questi minuti, dato che la community dei mojo abbraccia fusi orari da Brisbane a New Dehli.

    Il futuro è adesso.

    Alcune indiscrezioni erano filtrate nei giorni scorsi e facevano pensare a una continuità del binomio RTE e Mojocon, magari nelle mani del geniale Philipp Bromwell. La mannaia sugli account, però, ha fatto comprendere che il broadcaster di Dublino ha considerato, di fatto, l’attività di Mojocon una fringe activity, decidendone la chiusura ufficiale. Il tutto considerando anche il piano di crisi da 250 licenziamenti che deve fronteggiare. La notizia è, tuttavia, anche simbolica rispetto al momento della community del mobile journalism. Il mojo non è ancora considerato centrale per il futuro delle tv e dei broadcaster che continuano (sbagliando) a considerare i modelli produttivi classici come gli unici possibili per la tv di oggi. Presto si accorgeranno dell’errore.

    Un account twitter conta

    Questa richiesta di RTE a Mulcahy, di zittire le tracce ufficiali di Mojocom, ha accellerato, tuttavia, i propositi dello stesso Mulcahy che, per storia personale e per l’impresa di aver realizzato Mojocon, è considerato il capo della community mondiale. Il giornalista di Waterford, stante il veloce avanzare degli eventi, ha rivelato a tutti alcune delle caratteristiche di un nuovo progetto di evento per la comunità Mojo. Innanzitutto ha aperto questo account Twitter che, già dalla bio, sembra dire molto: “More than just a conference, Mojofest is the next evolution in Mojo, a celebration of the creative community that harness smartphones for digital storytelling.”.

    Si parlerà anche di Cinema…

    L’idea è chiara ed è quella di creare un evento nel quale l’idea di Festival e l’idea di Creatività siano centrali rispetto al solo mondo del giornalismo. Il tutto per aprire, appunto, a un pubblico molto più vasto rispetto a quello dei media, le vie di una cultura professionale che può cambiare molte vite e molte differenti carriere. Molto indicativo, in questo senso, un commento fatto da Glen Mulcahy a Michael Koerbel che è uno dei primi film maker con smartphone al mondo. Era incentrato sul fatto di inserire anche il mondo della creatività cinematografica nel percorso di realizzazione di questo nuovo soggetto che unirà la community mojo. La notizia della morte di Mojocon, quindi, ha avuto l’effetto di una bomba, ma ha anche liberato l’energia di una community che ha compreso che RTE non farà ombra a una nuova creatura “targata” Glen Mulcahy. Un bene, non ci sarà, quindi, l’imbarazzo di scegliere fra una Mojocon targata RTE, ma senza Mulcahy e un nuovo soggetto di Glen.

    La squadra? A naso centra la Thomson, ma non solo…

    Credo anche che Glen Mulcahy stia già riunendo attorno a se la squadra che sarà il motore di MojoFest, questo il nome del nuovo soggetto. Mi avventuro anche in qualche nome della community come Mark Egan, Nick Garnett, Wytse Wellinga, Yusuf Omar e la sua signora Sumaiya, Douglas Show, Chris Birkett. Perché lo dico? Perché questi sono anche buona parte dei nomi del progetto di e-learning di Thomson di cui ho parlato nell’ultimo pezzetto pubblicato.

    Alla fine un documento importante.

    Prima di lasciarti andare a dormire ti giro un documento importante che la collega Corinne Podger aveva realizzato dopo Mojocon 2017. E’ un documento online con gli attacchi a tutti i panel si Mojocon 2017, il cui canale Youtube resterà attivo. Vale la pena tenerlo, perché è stato un momento storico per la mobile content creation.  La community, quindi, è in fibrillazione ma è più viva che mai. Il tutto anche se le pressioni del mondo della produzione broadcast sono comunque molto forti e impediscono la crescita di un movimento che, prima o poi, sfonderà. In quel momento sarai lì, con me, a goderti lo spettacolo.

  • Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: una rivoluzione che parte dagli uomini

    Lo so che vorresti che parlassi di app e di truccaglie per fare il mobile journalism: te lo prometto, lo farò quanto prima. Non voglio, tuttavia, rinunciare troppo presto all’approccio culturale di questa materia. Dopo aver provato a dare una definizione e a definire un elemento molto importante per il lavoro del mojo, il pubblico, desidero far due chiacchiere sulla storia di questa filosofia professionale che sta cambiando le professioni visive. E’ una storia quasi (o forse senza quasi) ventennale, ma è diventata realtà soltanto dal 2007, 2008. Parla di uomini, di teste, di cuori e di persone che hanno voluto cambiare il corso degli eventi con quello che avevano in tasca: il telefonino.

    In principio era lo Smart Journalism

    Mobile Journalism: the father of mojo, Michael Rosenblum
    Michael Rosenblum (www.rosenblumtv.com)

    Se il mojo ha un padre, il padre è Michael Rosenblum. Newyorkese doc, Rosemblum ha lavorato per trent’anni nel campo del videogiornalismo con l’obiettivo di ridurne la pesantezza e di renderlo smarcato, veloce, leggero. A guardare il suo CV internazionale vengono i brividi, visto che è uno che ha completamente reinventato il modo di fare videogiornalismo negli Stati Uniti, non in Italia, dove sarebbe stato un filino più facile. Già 20 anni fa ha fracassato modi e metodi con cui nella grande mela si usava fare news in tv quando la New York Times company gli ha dato il compito di fare NYTV.

    La sua filosofia? Eccola ben riassunta in un pezzo del New York Times, dal quale, nel tempo si è staccato per lavorare con colossi che si chiamano CBS o BBC (di cui ha fatto la transizione totale verso il VJ), ma anche per fondare la Rosenblum TV, Current TV (assieme ad Al Gore). Insomma, nel tempo Rosenblum ha puntato tutto sul dimagrimento delle strutture della TV e dei suoi costi, quasi se la sentisse che quel carrozzone che è un grande broadcast, fatto nello stesso pesante modo in ogni angolo del mondo, era pronto a scoppiare. Con questa filosofia è diventato il padre mondiale del Video Giornalismo e dei Video Giornalisti, ma è letteralmente esploso quando tra le sue mani è passato un iPhone 4. Con il gadget più venduto del mondo ha costruito un impero che è partito da Rosenblum TV ed è arrivato a VJ. E’ anche il tipetto che ha guidato la transizione verso il mojo e il video journalism della mitica Voice of America, agenzia di news governativa degli Stati Uniti, attiva dalla seconda guerra mondiale.

    Un giorno dissero a Glen: “Go to NY”. E fu mojo…

    Mobile journalism: il re è Glen Mulcahy
    The King of Mojo: Glen Mulcahy (www.twitter.com)

    Siamo più o meno nel 2002 e Glen Mulcahy, un giornalista di RTE, viene chiamato dal capo che brandisce dei biglietti aerei per NY. “Vai a New York e studia il VJ di Rosenblum”, gli disse il boss. Lui si imbarca e ne ritorna con un pacco di informazioni tale che a RTE decidono di cominciare a trasformare tutti in Video Giornalisti. Lui, però, trainer di vocazione oltre che cronistaccio, fa di più. Mentre supervisionava il lavoro di altri cronisti, comincia a girare un pezzo con un iPhone e lo manda in emissione senza dire niente. Piglia un collega e gli chiede di fare lo stesso. Nessuno in regia a Dublino nota la differenza e, quando si presenta davanti al capo redattore per dirgli la verità, la reazione è quella di una bomba. “Quel pezzo e quel pezzo l’ho fatto con l’iPhone”, disse candido. Fu il Quarantotto, visto che la cosa pigliava in mezzo molte categorie diverse tra le professionalità presenti nella rete di stato irlandese.

    Da quel momento in poi Mulcahy (che nemmeno so esattamente come si pronuncia, ma presto lo chiederò al diretto interessato) si mette al lavoro per risolvere le questioni interne e avviare la rivoluzione, rivoluzione che esporta come trainer in giro per il mondo, perfino verso la ricettivissima Al Jaazera che ora conta una cinquantina di cronisti mojo nella sua redazione, tutti allenati da Glen. Nel 2015 l’idea di creare MojoCon, la Mobile Journalism World Conference che, grazie al lavoro di Glen e del suo staff, è diventata il punto di riferimento mondiale del mobile journalism e che si avvia, come ho spiegato in questo pezzo del blog, all’edizione numero tre. Un lavoro durato 5 anni che vide la luce nel 2015 con il primo evento all’Aviva Stadium di Dublino, sotto l’egida della RTE che ne è la padrona di casa. Se vuoi vedere di più clicca qui.

    Nel frattempo giù sotto…

    Uno dei padri del mobile journalism: Ivo Burum
    Ivo Burum (credit www.smartmojo.com)

    Intanto down under si forma Ivo Burum, croato di Ragusa trapiantato a Melbourne. Con la sua Burum Media, Ivo è stato il pioniere di una delle correnti principali del mojo, quella che parte dagli User Generated Content per fare storie, format e documentari. Una carriera folgorante la sua, dedicata, soprattutto alla didattica. Il professiore della Deakin University di Burwood, nello stato di Victoria, ha, infatti, messo su carta il più importante manuale di mobile journalism a livello mondiale o perlomeno il più diffuso, assieme al collega Stephen Quinn, ora professore alla  Kristiania University College in Norvegia. Particolare la specializzazione di Quinn, nella quale ha potuto prendere a piene mani il vantaggio di essere un mojo: è un giornalista specializzato in.. vino, un ambasciatore della cultura enologica nel mondo, con seguitissime rubriche perfino su China Daily. Quinn è un prolifico divulgatore anche del mojo, come si può evincere dalla sua bio che puoi trovare qui. Su questa asse tra i due è nato questo: MOJO, The Mobile Journalism Handbook: How to Make Broadcast Videos with an iPhone or iPad.

    In Asia c’è Yusuf Omar dell’Hindustan Times.

    Mobile journalism: Yusuf Omar
    Yusuf Omar (credit www.yusufomar.com)

    La storia del mobile journalism, quindi è recente ed è fatta di persone che, come disse Glen Mulcahy aprendo Mojocon nel 2015, “hanno voluto abbattere i confini” e creare un nuovo linguaggio giornalistico internazionale. Uno di quelli che ha spaccato tutto è Yusuf Omar, mobile editor dell’Hindustan Times. Pluripiemiato e pazzo scatenato, talmente matto da fare il suo primo reportage mojo andando a piedi da Durban a Damasco, Yusuf sta realizzando l’impresa di organizzare la più grande redazione mojo della terra. Si tratta di quella dell’Hindustan Times, dotata di 750 mojo che vanno in giro per la città a raccontare storie e a trovare notizie con la tecnica del Facebook Live, con i video a 360 gradi, con Snapchat e altre diavolerie del genere.

    Oggi Yusuf Omar è un apprezzato speaker di questa disciplina, chiamato in tutto il mondo a tenere lezioni. Vive a Dehli, ma è nato a Londra e ha studiato in Sudafrica, facendo anche l’inviato di guerra e firmando diverse inchieste al limite o oltre il limite dei confini possibili. E’ uno che col solo smartphone addosso ha coperto live le proteste verso Zuma, i funerali di Mandela, la guerra in Siria, l’emergenza Ebola. Ha un’azienda che puoi trovare a questo sito. Non ci crederai, ma è un millennial, nato nel febbraio del 1989. Qui in Italia, i millennial come lui fanno la muffa non pagati in qualche redazione. Questa, tuttavia, è un’altra storia.

    Ora ci sono paesi come il Marocco, la Tunisia, il Bostwana e tante altre economie in crescita che stanno investendo sul mojo. E in Italia? Buona parte della storia è ancora da scrivere.