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  • L’immagine visuale di un professionista: un lavoro mojo

    L’immagine visuale di un professionista: un lavoro mojo

    Sviluppare l’immagine visuale di un professionista è un altro dei lavori nei quali sto testando sul campo i vantaggi dell’essere un mojoer.

    Mi spiego subito. Sto affrontando questo percorso con lo Studio Della Valle.

    Lo sto affrontando per valorizzare l’immagine visuale della professionista Sabrina Della Valle e creare nuovi canali di comunicazione e di interazione con clienti esistenti e potenziali. Raccolgo qui, se le vuoi utilizzare, le prime impressioni e le prime valutazioni di un lavoro che faccio sul campo. Invitandoti, se sei un professionista che vuole migliorare la sua presenza visuale nel digitale, a contattarmi. Se invece sei un giornalista o un produttore di contenuti ti sottopongo questo pensiero: molti, moltissimi sono i potenziali clienti che hanno bisogno di un consulente per la propria immagine visuale.

    Prima considerazione: il contenuto serve.

    I numeri della mia precedente esperienza con C1V Edizioni (un piccolo brand editoriale), ma anche quelli che sto vedendo nelle interazioni con gli organi social e web di questo studio professionale di Milano, lo Studio Della Valle, fanno capire molte cose. Una sopra le altre: il contenuto conta. Conta il racconto, contano le informazioni, i consigli, la cultura che si distribuisce su un determinato argomento. Vengono da una fonte mediatica? Da un’azienda? Da un professionista? Le buone informazioni servono sempre. L’esempio lo puoi vedere qui sotto.

    Nell’immagine visuale di un professionista conta più quello che dice e quello che dà di come lo dice. I contenuti, i consigli, le dritte che può fornire, ma anche il racconto veritiero di quello che è e di quello che ha fatto, di quello che lo diverte e di quello che lo appassiona, tende a dare un posizionamento web e una resa migliore di qualsiasi altra operazione mediatica, magari associata all’advertising.

    Seconda considerazione: il racconto serve.

    Ecco, mi sto accorgendo giorno dopo giorno che per un professionista vale anche il racconto che riesce a proporre. Vale perché scatena un effetto nelle proprie conoscenze che si riverbera ampliandole e attivando legami deboli. In quella regione delle proprie reti di relazioni possono emergere persone interessate ai servizi o a una relazione di partnership che diventa un lead e poi un cliente. Il racconto serve, anche per creare una continuità di appuntamento e di relazione per via “social” o attraverso il sito internet dello studio professionale. Il racconto è creazione di fiducia e la creazione di fiducia è creazione di rapporto e invito alla collaborazione.

    Terza considerazione: il personal branding serve.

    Nella creazione dell’immagine visuale di un professionista è basilare che esca allo scoperto un brand personale. Si, quella caratteristica unica che fa emergere un lavoratore piuttosto che un altro. Sto parlando di quella somma di esperienze, competenze e bagaglio culturale e di vita che rende una persona differente da qualsiasi altro essere umano.

    Se sei nel campo dei professionisti e dei consulenti è abbastanza semplice creare un brand personale, scegliendo tra quelle competenze che rendono particolare ogni esponente di un dato campo del lavoro. In questo possono aiutare libri come quelli di Riccardo Scandellari dei quali ho parlato in questo pezzo. Raccontano di come crearsi un brand personale che sia un racconto di quello che si è veritiero e positivo, ma anche un racconto della propria unicità personale che ci rende la soluzione per coloro che hanno quel determinato problema da risolvere nel quale siamo esperti.

    Quarta considerazione: tu sei unico e questo serve.

    Questo tipo di immagine visuale vale anche se le nostre peculiarità professionali siano magari condivise con tanti altri potenziali concorrenti nel nostro mercato del lavoro. Il motivo? Beh, semplice. Sarà il nostro racconto personale a renderci appetibili al mercato. Per avere un’immagine visuale efficace e in grado di creare accrescimento professionale, l’apporto determinante di un produttore di contenuti che coordini la crescita di un racconto pubblico del proprio lavoro e della propria persona, è molto più determinante di tante altre possibilità di investimento sulla propria figura professionale. Pensaci e poi lavoriamoci su.

    Come? Con gli strumenti e le tecniche del mobile journalism. Con quei modi, infatti, si può arrivare a un fitta e proficua interazione con il cliente, tale da permettere al produttore di contenuti mojo di immedesimarsi totalmente nella persona e nel lavoratore che egli deve rappresentare.

  • Personal branding, netbranding e giornalismo: facciamo chiarezza

    Personal branding, netbranding e giornalismo: facciamo chiarezza

    STO STUDIANDO, COME TE. In questo blog parlo di due cose: #sharingjournalism e #sharingdaddy. Sono i miei due progetti, le cose che studio tutti i giorni. In un post recente, questo, ho parlato di netbranding come di uno strumento necessario per i giornalisti. Studiando sul web mi sono accorto che netbranding e personal branding sono pane quotidiano nei media stranieri, mentre da noi non se ne parla. Siccome in questo blog voglio condividere il mio know how sul giornalismo e suoi suoi modi, penso sia il caso di fare chiarezza.

    PERSONALITA’ ONLINE. I giornalisti possono diventare personalità online, per la loro competenza nei campi specifici del loro lavoro o per la loro qualità. Nel processo di disintermediazione dei passaggi tra notizia e lettore, possono anche diventare un punto di riferimento diretto, per questi ultimi, con le notizie stesse, con i reportage e i movimenti della società che interessano chi legge, chi cerca sapere. Quest’ultimo è un passaggio che risulta molto utile al cronista stesso per potersi creare un profilo professionale specifico che risulti appealing per chi compra i suoi contenuti e un pubblico diretto che può rappresentare un seguito tangibile e misurabile che aumenta il “fascino” di quanto dal professionista stesso viene prodotto. Per dirla alla casalinga di Voghera: se un giornalista ha una ottima personalità online, ha molti follower, chi acquista il suo lavoro sarà più invogliato a farlo perché sa che ha già un pubblico “incorporato”. Per questo motivo il personal branding è un aspetto assolutamente necessario per la nuova professione giornalistica.

    ejoAGLI EDITORI ITALIANI PIACE POCO. Gli editori del nostro paese in particolare, ma anche al resto degli editori, piace poco. Questo straordinario articolo dell’European Journalistic Observatory lo conferma. Il personal branding giornalistico è un fenomeno in verticale ascesa, ma non viene “aiutato” da chi edita, anzi il contrario. Spesso i giornalisti incorrono in problematiche professionali a causa di semplici post di social media che, magari, si discostano anche di poco dall’opinione imperante del medium per cui lavorano. Tuttavia vi è un movimento, iniziato negli Usa, per cui i giornalisti con ottimo seguito social, si distaccano dalle redazioni di grandi giornali per creare progetti editoriali basati sulla loro personalità online. E’ il caso di Ezra Klein che lasciò il WashPost per lavorare a una sua iniziativa già nel 2014. E’ un business rischioso, come suggeriva Michaell Wolff in questo articolo nel 2014 esaminando con grande attenzione i numeri di questo fenomeno. Però rivela una tendenza che ha avuto casi di successo come quello di Arianna Huffington e che ha insegnato una cosa importante: il personal branding è necessario per i giornalisti. Agli editori italiani non piace perché sviluppano una sorta di possesso del giornalista che deve sottostare alle regole e ai dettami social della testata. Chi fra i giornalisti italiani ha un grande seguito internet ce l’ha per merito preponderante della testata stessa, non per la competenza diretta che ha o per la personalità seria e coerente che mostra. E’ una delle ramificazioni del rapporto distorto giornalisti-editori italiani che non tiene conto del fatto che, acquistare l’individualità professionale di un giornalista seguito, aumenterebbe il seguito della testata, se solo non si riducesse la stessa a una velina del giornale o della tv o del sito per cui lavora.

    IL PERCORSO GIUSTO. Insomma, se il personal branding del cronista fosse valorizzato per quello che è, il giornalista potrebbe portare la sua piccola o grande fetta di pubblico dentro il giornale che acquista i suoi contenuti o che lo assume. Se il giornalista fosse, invece, bloccato nella direzione contraria, cioè quella di diventare soltanto veicolo dei contenuti che produce per una testata, il risultato sarebbe la perdita di audience del giornalista stesso e il mancato guadagno di lettori o spettatori “importati” per la testata. Questo percorso, quello della costruzione di una personalità giornalistica individuale, è un passo in avanti importantissimo per la carriera del giornalista e va difeso. Per capire meglio la situazione sono esplicativi questo post e questa ricerca.