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  • Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working e cellulare: un binomio strettissimo

    Lo smartphone è una macchina totale. Perfino il nome andrebbe cambiato. In effetti quello che hai tra le mani è un potente computer che ormai ti fa telefonare ben poco. Potremmo chiamarlo, l’ho suggerito in questo articolo, il tuo personal device. Oppure smart device, nel senso che è lo strumento più importante per il lavoro da remoto. Senza se e senza ma. Ormai il mio lavoro si rivolge a tutta la divulgazione, la formazione, i prodotti e i servizi che possono essere svolti proficuamente con il telefono. Insomma, all’uso dello smartphone come macchina totale. Mi sembra arrivato il momento di dirti come usare il telefonino per fare smart working in modo performante, positivo e felice. C’è un segreto, ma va fatta una premessa.

    L’arma di distrazione di massa

    Il cellulare e lo smart working hanno un rapporto strettissimo, ma il telefonino è un arma di distrazione di massa. Questo maledetto scatolotto è stato concepito in modo neutro, ma le applicazioni di social network e di messaggistica istantanea lo hanno resto una trappola mortale per la nostra concentrazione. Trilla e strepita a ogni minuto. La tua attenzione viene sconfitta da un qualsiasi trillo del telefonino, il tuo lavoro ne riceve un colpo, tutto sommato, forte. Togli l’attenzione da quello che stavi facendo e accorri a mettere le mani sull’aggeggio. Da quel momento in poi ogni messaggio del telefono cattura la tua attenzione mandando in tilt il sistema di priorità che avevi fino a qualche secondo prima. Da lì è un attimo a finire su Facebook e a non ricordarsi il motivo per cui avevi preso in mano il cellulare o la notifica che ti aveva attirato. Anzi, spesso metti giù il telefonino e non ti ricordi perché lo avevi preso in mano.

    A tutto questo c’è rimedio.

    Le maledette notifiche, nemiche dello smart working

    Alla base di tutto questo c’è il sistema delle notifiche. Ecco il segreto: per essere un vero smart worker le notifiche le devi spegnere. Tutte. Niente paura, non perderai alcunché del tuo lavoro o della tua vita. I messaggi che ricevi saranno lì ad aspettarti. La grande, incommensurabile, differenza è che sarai tu a scegliere il momento in cui prendere in mano l’oggetto per leggere tutti gli avvisi arrivati. Nel momento giusto e con il giusto ordine di priorità. Lavorare in remoto è una dimensione nuova. Il fatto di essere lontani dall’ambiente di lavoro consueto, frequentato magari per anni, disorienta. Ecco che lo smartphone diventa una porta spalancata dalla quale entrano le cose importanti unite alle distrazioni. Fare bene lo smart working vuol dire anche saper chiudere la porta, mentre si sta compiendo un’operazione per poi aprirla quando l’operazione è terminata.

    Il flusso delle notizie preso dalla parte giusta

    Spegnere le notifiche cambierà il flusso delle notizie, sia personali sia di lavoro.Lo prenderai per la prima volta dalla parte giusta, dalla parte che comincia da te con la decisione del momento in cui puoi e vuoi vedere quali sono i messaggi che ti arrivano e rispondere. Con i tuoi tempi, con i tuoi modi. Così lo smart working potrà diventare efficiente e la fase di concentrazione che devi avere quando esegui un compito di lavoro non sarà più attraversata da continue interruzioni.

    Disponibile con tutti, a disposizione di nessuno

    Sono ormai 30 giorni che ho spento tutte le notifiche. Tutte. Prima tenevo aperto solo twitter per sapere al volo le notizie del mondo dello smartphone e della mobile content creation. Tirando le prime somme è aumentata la produttività, la concentrazione e anche la possibilità di prendere dei momenti per me. E’ salito il silenzio, è salita la serenità e la capacità di vedere ad ampio raggio i progetti che sto sviluppando come Algoritmo Umano. Come ripete da tempo Rudy Bandiera, sono disponibile con tutti e a disposizione di nessuno. Ormai è una scelta, una scelta che dovresti fare anche tu se vuoi che il tuo smart working si trasformi da inferno senza orari a una bella esperienza.

    Foto da Pexels

  • Smartphone: è ora di cambiarti il nome

    Smartphone: è ora di cambiarti il nome

    La parola smartphone deve morire

    Il motivo è molto semplice. Lo smartphone non è più.. phone. Il primo a parlare di questo argomento è stato il giornalista Ernesto Assante in un pezzo su Repubblica che puoi leggere qui sotto:

    iPhone 12, la nuova macchina totale

    L’abbiamo detto molte volte, fino alla noia, ma questa volta vale la pena ripeterlo: chiamiamo cose nuove con nomi vecchi e questo ci impedisce di capire come e quanto i device che abbiamo a disposizione o le funzioni che ci offrono, siano in realtà innovative, o comunque foriere di novità che vanno oltre lo sguardo superficiale e veloce che noi diamo a quello che abbiamo davanti ai nostri occhi o nelle nostre mani.

    La macchina totale

    Assante, nel suo articolo, parla di macchina totale perché lo smartphone è una macchina totale. Una macchina la cui caratteristica di poterci far fare delle telefonate è ormai trascurabile. Il nostro cosiddetto telefonino è diventato una personal device, per scimmiottare l’espressione personal computer. Potremmo chiamarlo così: personal device. La potenza di calcolo che offre, ora che i suoi processori sono costruiti con tecnologia a 5 nanometri, è enorme e sfruttabile in tutti i campi del lavoro e della vita. Questo strumento produce contenuti di qualità eccellente, processa calcoli complicatissimi, fa comunicare e connettere con il mondo, virtualizzare ogni passaggio del lavoro, gestisce macchine, magazzini, relazioni con clienti, progetti, creazioni artistiche. Interpreta le operazioni di un computer combinandole con la versatilità della mobilità. Crea nuovi lavori e nuovi linguaggi.

    Il futuro dello smartphone

    Durante l’estate del 2020, mentre tutti parlavano di 5 g, la Samsung ha pubblicato un paper sul 6g che sarà implementato a partire dall’anno 2028. Il futuro dello smartphone, praticamente, è già qui. Nel documento, trovabile a questo link, la casa coreana ha disegnato la figura dello smartphone come il terminale personale che effettuerà calcoli e porterà dati infiniti per aiutarci in comunicazioni olografiche e in riproduzioni della realtà virtuale che ci permetteranno di lavorare in tempo reale con complicate macchine robotizzate. La presentazione dell’iPhone 12, pur caratterizzata da polemiche per la questione dell’assenza, nella confezione, di caricatore e cuffie (guardati il video di Montemagno, veramente istruttivo), ha rivelato al mondo una macchina con una potenza già in grado, con notevole anticipo sui tempi, di interpretare questo ruolo. Di cosa ti sto parlando? Del ruolo della personal device.

    Montemagno spiega la supercazzola fatta da Apple sulla questione caricatore degli iPhone 12 (da Youtube)

    Smartphone: come usarlo

    Spesso non ci rendiamo conto della potenza che abbiamo tra le mani. Fino a oggi abbiamo sempre subito lo smartphone come un’arma di distrazione di massa. Da oggi lo strumento che abbiamo tra le mani può essere utilizzato come computer personale per aiutarci in tutti i passaggi importanti della nostra vita e del nostro lavoro. Se vuoi possiamo parlare di questo argomento insieme lunedì 19 ottobre 2020 alle 18 con l’imminente corso di Algoritmo Umano che trovi qui sotto.

    I corsi di Au: libera le potenzialità del tuo smartphone – Algoritmo Umano

    Lo strumento tecnologico che ci è più vicino è lo smartphone e molto spesso non lo sfruttiamo a dovere. Per questo e tanti altri buoni motivi Algoritmo Umano ha deciso di mettere in calendario un corso di tre ore su come liberare le potenzialità del telefonino per migliorare la produzione di contenuti, lo sviluppo del proprio lavoro o l’organizzazione e la produttività dei propri giorni.

    Ci vediamo lì? Passeremo tre ore assieme, telefonino alla mano, scoprendo cose utili per te, per i tuoi progetti e per le tue giornate.

  • Podcast: il futuro è mobile e vivo

    Podcast: il futuro è mobile e vivo

    Il podcast è un medium che guarda al futuro.

    Molte aziende, editoriali e non, stanno prendendo in considerazione sempre più seriamente il mondo del podcast. Il mercato di questo tipo di contenuto audio è in crescita a doppia cifra su base annuale, lo spiega bene Forbes, ma bisogna comprendere bene il fenomeno, prima di buttarsi a capofitto in questo mondo in evoluzione anche per la comunicazione corporate.

    Podcast: un errore da non commettere

    Il mondo dei media italiani si distingue per resistenza al cambiamento. In questo scenario, quindi, c’è un errore genetico del mondo dei podcast della nostra lingua nel quale devi cercare di non incorrere. Il podcast, infatti, viene associato alla radio, nei suoi formati proposti al pubblico, ma in questo modo rivela un difetto esiziale. Il medium nuovo proposto con modelli e formati vecchi, infatti, non sviluppa a pieno le sue caratteristiche innovative per raggiungere in modo più moderno le sue audience. I programmi di maggiore successo sulle piattaforme di podcasting italiane, infatti, sono semplici riproposizioni di programmi radiofonici e i nuovi format sono impostati in modo radiofonico. Così si perdono per strada alcune cose.

    Il podcast non è radio

    In un mondo in rapida evoluzione va detto chiaramente che il podcasting non è fare radio. Tutt’ altro. Il mercato tecnologico che ruota attorno al fenomeno spinge per la costruzione di veri e propri studi di registrazione, ma rema contro un elemento caratteristico di questo nuovo medium. La sua versastilità. Il podcast, infatti, è un contenuto che sei esprime nello stesso modo della radio, ma ha alcune caratteristiche in più che non possiamo non considerare. Questo contenuto, per esempio, arriva nello smartphone: è utile, versatile, lo puoi ascoltare quando vuoi e stoppare quando vuoi.

    L’audio è mobile

    Un’altra caratteristica importante è quella data dal fatto che il podcast può facilmente essere mobile. Lo puoi, infatti, produrre con grande qualità attraverso il tuo smartphone e il tuo tablet. Pensa che uno degli articoli più letti della storia di questo sito è quello sulla possibilità di acquisire audio da un mixer attraverso lo smartphone. Significa che c’è una grande voglia di snellire la produzione di questo tipo di contenuto. Si può fare, eccome.

    Il podcasting in mobilità

    La mobile content creation comprende anche e soprattutto l’audio. Con lo smartphone puoi fare podcast con un suono pulito e qualitativo fino a 96 mhz per 24 bit. Microfoni, supporti e mixer piccoli non mancano. Il concetto del movimento nella produzione del contenuto crea due opportunità in più. La prima è la possibilità di spostarlo in luoghi in cui l’incontro con i clienti, gli ascoltatori o le altre realtà diventi ancora più fruttuoso, se le possibilità legate alla nostra capacità di muoversi lo consentono. La seconda cosa è che nell’audio, il rumore di fondo che si percepisce può diventare parte attiva del racconto.

    Detto francamente non credo al podcast come clonazione della radio. Credo che il futuro sia mobile per poter sfruttare le potenzialità di questo mezzo di creare relazioni fruttuose, soprattutto per la comunicazione aziendale e per la creazione di audience interessata al lavoro che si sta facendo.

    La voce è la nostra prossima mano

    Ho già scritto sulla rivoluzione che ci attende e per la quale impareremo sempre di più a frequentare la Rete senza toccare le nostre device. Il podcast è dentro questa rivoluzione ed è un medium che più di ogni altro ci avvicina alla persona che vogliamo interessare con il nostro lavoro. Il futuro è mobile, quindi, basta abbracciarlo. Sia un futuro vivo e vissuto, altrimenti la clonazione di questo tipo di contenuto rispetto a uno standard radiofonico ci farà fa perdere molte occasioni.

    Ecco l’ultima puntata del mio podcast Algoritmo Umano. Il progetto è quello di farlo crescere muovendolo anche in versione video. E’ troppo importante sfruttare questa caratteristica.
  • Digitale: esperienze di una crescita lenta e felice

    Digitale: esperienze di una crescita lenta e felice

    Questo 2020 è stato ed è ancora, per me, l’anno della maturazione digitale della mia immagine e del mio percorso. Ti racconto alcune cose che nascono dalla mia esperienza di una crescita lenta e felice.

    Te le racconto parlando di te, non di me. Te le racconto spiegandoti quanto ho progettato, creato e vissuto in questi mesi, mettendoti in grado di comprendere da solo se queste indicazioni che nascono dalle mie esperienze ti possano essere utili.

    Tu, il tuo progetto, il tuo racconto

    Al centro ci sei tu. Hai un progetto, un lavoro, una strada da seguire. Probabilmente, in questi mesi il tuo progetto è cambiato, per forza o per amore. Questo percorso ha bisogno di una casa digitale, di un racconto, fatto di immagini e contenuti. Tutto questo serve a far capire cosa ti rende unico, cosa potrebbe o dovrebbe spingere gli altri a contattarti per avere i tuoi servigi. La tua arma più potente e anche l’unica che hai a disposizione è lo smartphone. Non lo dico io, lo dice la storia. Lo smartphone è il tuo ponte verso l’esterno, il diffusore della tua immagine digitale o di quella della tua attività.

    Una casa digitale

    Tutti abbiamo bisogno di un posto dove stare. Anche tu. Anche il tuo lavoro. In un mondo nel quale la casa è per molti un miraggio, un’abitazione digitale è molto meno costosa da raggiungere e difficile da costruire. La mia ha avuto un costo legato alle ore di lavoro che ci ho messo e a pochi materiali che mi sono serviti a tirarla su. Per avere la tua casa digitale il posto dove devi andare a prenderla è WordPress, software di costruzione di siti e pagine web facile e performante. Ci vuole studio, ok, ma si tratta di un sistema che ha una logica comprensibile e che offre enormi possibilità. Se creerai la tua casa digitale ti sentirai come mi sono sentito io in questi mesi. Ho lavorato durante il giorno per i miei clienti, ma le sere e i momenti liberi li ho dedicati al mio nuovo mondo digitale. Come un muratore di una volta, ho faticato nel mio cortile per fare fondamenta, muri, stanze, finestre, vetrine. Una soddisfazione di enorme valore, una sensazione intensa e rinvigorente. Ho costruito qualcosa di mio, la mia casa digitale, con i miei muri, i miei panorami, i miei contenuti.

    La crescita: questione di lentezza

    Costruire una casa sul web è il punto centrale della crescita della tua vita digitale e del tuo lavoro. L’ho sempre sostenuto e poi l’ho fatto. Il tuo sito è il centro del tuo progetto e i social sono i satelliti del tuo mondo. Lo strumento per farla è WordPress e l’esperto cui mi sono rivolto io per imparare a nuotare in quel mare è Fabio Ranfi. La sua capacità di farti capire il mondo digitale è impareggiabile. Algoritmo Umano, la mia casa digitale, ne è la prova: se l’ho fatto io puoi farlo anche tu. Una volta ultimata la costruzione sarai davanti alle scogliere di Dover con le ali al loro posto, pronto a spiccare il volo e impaurito dalla possibilità di non riuscirci. Stai tranquillo, la crescita è questione di lentezza.

    Ogni contatto è importante

    La paura di non trovare i primi clienti, di non crescere, di non farcela è indotta da un mondo digitale che è ancora saldamente attaccato ai numeri, alle quantità. Ferma le vene dei polsi. In quel momento la tua crescita nel digitale diventerà questione di lentezza. Ogni persona che ti avvicina sarà importante, ogni messaggio sul tuo smartphone potrà nascondere un’opportunità, ogni operazione social sul tuo telefonino sarà un piccolo mattone del tuo futuro. Ogni volta che instauri un contatto non pensare a vendere, ma a dargli valore. Con un contenuto, un consiglio, un parere, un po’ di ascolto. Questa è la via che ti farà crescere in modo lento, ma costante.

    Lo smartphone ti aiuterà

    Il telefonino, nel momento in cui avrai costruito la tua casa digitale, diventerà lo strumento determinante per farla funzionare. Ti aiuterà tantissimo. La benzina nel motore sono e saranno i contenuti, quelli che creerai per parlare del tuo progetto, ma soprattutto per far crescere i progetti degli altri. Pubblica quando è utile che tu lo faccia, non quando devi. Non parlare di te stesso, ma di quello che può arricchire, umanamente e professionalmente, chi ti circonda. Ascolta il tuo mondo, fallo parlare, come suggerisce saggiamente Riccardo Scandellari. Vedrai che sarà chi ti segue a farti capire cosa e quando dare, con il tuo smartphone alla mano, contributi importanti a chi ti circonda.

  • Intelligenza Artificiale e Smartphone: binomio da scoprire

    Intelligenza Artificiale e Smartphone: binomio da scoprire

    Quello dell’Intelligenza Artificiale è un argomento sulla bocca di molti in questo periodo di digitalizzazione forzata della comunicazione, del lavoro, delle carriere e delle aziende.

    La capacità dei computer, dei processori e delle device mobili come lo smartphone di processare algoritmi che imparano in modo autonomo dalle azioni e dalle operazioni dell’uomo sta diventando sempre più impattante nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo, tuttavia, capire bene qual è il rapporto tra noi, lo smartphone e la AI per poter sfruttare al meglio questa potenzialità dei nostri apparecchi mobili.

    Quando fa tutto lo smartphone

    Il tuo smartphone ti corregge le foto, anticipa i tuoi scatti, crea video da solo, riempie da solo i testi delle tue mail. Ti toglie, detta in parole povere, il controllo su operazioni anche importanti che incidono sulla qualità del tuo contenuto. Esistono negli store delle app schiere di software per telefonini che ricorrono all’Intelligenza Artificiale per sviluppare autonomamente creazioni. Questo succede in particolare nel mondo dell’editing video, universo nel quale si sprecano le app automatiche per creare contenuti brevi e adatti ai social. Un altro campo in cui l’Intelligenza artificiale è strautilizzata è quello del riconoscimento della voce, della sottotitolazione automatica e della traduzione simultanea. Dell’interazione fra il web e la voce ho già parlato in un altro articolo che puoi trovare qui.

    Se non hai tempo, quindi, puoi affidarti all’Intelligenza Artificiale e allo smartphone, lasciando a loro il comando. Se desideri mantenere il controllo della creazione, invece, l’Intelligenza Artificiale sta iniziando a venire in aiuto in situazioni molto particolari.

    Il caso Adobe Premiere Rush

    Nel 2019 è uscita Adobe Premiere Rush, suite di montaggio multipiattaforma che è una sorella minore di Premiere e il tentativo di Adobe di portare tutto il suo know how sui telefonini. Dopo pochi mesi aveva presentato il suo autoreframe. Di cosa si tratta? Di un algoritmo, basato sull’Intelligenza Artificiale, che ricompone in verticale o in altri formati un video girato in 16:9, quindi in orizzontale. Nei giorni scorsi Adobe lo ha implementato nella sua versione beta della app la funzione e io ne ho testato il risultato. Eccolo qui sotto.

    La quarta puntata di Smartphone Files, tutto quello di buono che si può fare con un telefono.

    Il prodotto è incoraggiante, ma migliorabile. L’Intelligenza Artificiale, a mio avviso, risulta determinante nel modo più utile. Vale a dire che ti lascia fare il tuo contenuto e poi te lo adatta alle diverse opportunità di pubblicazione. Il padrone dei comandi, quindi, resti tu, ma lo smartphone fa per te una funzione che ti fa risparmiare un’enorme quantità di tempo (pensa a chi deve produrre contenuti per sito e social contemporaneamente) senza offendere quello che hai messo dentro il contenuto stesso.

  • Il contrario di virtuale è… fisico

    Il contrario di virtuale è… fisico

    Lo smartphone cambia i percorsi delle parole: una di quelle cambiate è virtuale.

    La nostra esistenza online è diventata più importante e decisiva durante questo scorcio della nostra esistenza. A causa della pandemia abbiamo iniziato a dare maggiore consistenza alle interazioni virtuali, per necessità o per amore. Al centro del nostro agire lo smartphone e quella sua capacità di essere ponte di relazioni proprio nel mondo connesso. La nostra realtà virtuale si è incastrata sempre di più nella nostra realtà fisica. Ha volte, certi passaggi fatti in virtuale con lo smartphone, sono diventati proprio degli acceleratori dei passaggi fisici. Allora mi viene spontaneo andare a indagare il significato della parola. Immergendosi nelle parole, molto spesso, si scoprono… errori.

    Quello che recita il dizionario

    Il Treccani parla chiaro: “In filosofia sinonimo di potenziale, cioè esistente in potenza e non in atto”. E poi: “In fisica, in matematica e nella tecnica, in contrapp. a realeeffettivo, si dice di enti o grandezze che, pur non corrispondendo a oggetti o quantità reali, possono essere introdotti o considerati per determinati scopi di calcolo, di rappresentazione o di deduzione logica”. La parola virtuale, quindi, ha un concetto di potenza e non di atto e il suo contrario è reale. Ecco, come se il virtuale non fosse reale. Il concetto di realtà virtuale, quindi, sembra una cosa senza senso, una contrapposizione tra esistente e non esistente. Mi sembra un grave errore, vista la realtà virtuale che, grazie ai nostri smartphone, stiamo realmente vivendo.

    Aggiustare il tiro

    Forse, per capire meglio l’ambito virtuale della nostra vita e le azioni che facciamo con lo smartphone, sarebbe il caso di cominciare a cambiare il senso del suo esatto contrario. Pensare che il virtuale sia qualcosa di non esistente e contrapposto alla realtà è un errore che non dovrebbe essere commesso. Dobbiamo smettere di considerare il digitale, vale a dire la parte della nostra vita che viviamo con lo smartphone, come una bolla contrapponibile alla realtà. Il virtuale è reale, i suoi effetti sono reali, i comportamenti che teniamo nei rapporti e nelle interazioni virtuali sono reali. Di conseguenza il contrario di virtuale non è reale, ma fisico.

    Toccare o non toccare

    Insomma, nel mondo digitale, grazie alla trasformazione in calcoli delle mie azioni fisiche, non posso avere a disposizione una realtà fisica, non posso toccare materialmente il risultato delle mie operazioni. Nel mondo reale, sì, lo posso fare. Toccare o non toccare una cosa, un’azione, un oggetto, un servizio. Certo non si può trasformare in digitale tutto quello che è reale, almeno non per ora, ma dobbiamo imparare a considerare il virtuale come una parte integrante della nostra realtà percepita. Diciamo che la nostra fisicità non potrà mai essere totalmente sostituita dal mondo digitale (almeno spero), ma contrapporre il virtuale al reale è un errore che non possiamo più permetterci di fare.

    Leggi anche – Voice First Era: rivoluzione controversa