Tag: smartphone

  • “Lo smartphone è la penna del nostro tempo”

    “Lo smartphone è la penna del nostro tempo”

    Il mio viaggio di studio a Londra si è rivelato pieno di suggestioni.

    Mi ha regalato un mare di idee buone per la didattica dei corsi di formazione e per il mio patrimonio di conoscenze professionali. Viaggiare per motivi di studio è un’esperienza che ti cambia nel profondo e che rimette in discussione quello che pensi e quello che vedi. In queste ore posso dire di aver ricevuto, dagli incontri che ho avuto e dalla realtà che ho osservato, la conferma che esiste una forte crescita di quella che io chiamo mobile media economy e che dobbiamo parlarne proprio noi che facciamo giornalismo mobile.

    La ri-definizione della materia.

    Cosa intendo per mobile media economy? Tutto sommato si tratta di dare dignità unitaria a tutti quei processi che creano ricchezza grazie a prodotti, servizi e contenuti che vengono realizzati, distribuiti, visti, consumati con lo smartphone. Al centro di questa economia ci sono i produttori di contenuti che, grazie allo smartphone, possono creare valore aggiunto in modo diretto, magari intermediato soltanto da una piattaforma di distribuzione del contenuto. Detto in modo semplice: insegnare mobile content creation è solo metà del mio progetto. L’altra metà è insegnare gli strumenti che, dallo smartphone fanno partire quelle operazioni che creano ricchezza.

    Lo smartphone è la nostra penna, il video la nostra lingua.

    Dove voglio arrivare? Semplice. Appreso il mojo come strumento, ognuno di noi è in grado di fare contenuti di valore editoriale. Il fine di questi contenuti è il più vario e va dal miglioramento della propria immagine alla vendita del contenuto, alla progettazione di un vero e proprio business dei media. Già, perché un hub di informazione per il quale il pubblico voglia pagare potresti anche crearlo da solo. Con uno smartphone. Perché lo smartphone “è la penna della nostra epoca e il video è il nostro linguaggio – dice il direttore dell’innovazione e della formazione di Thomson Foundation Hosam El Nagar -. Dobbiamo saperlo usare bene e riuscire a entrare in questo ecosistema che, ormai, vede tutti noi informarsi proprio grazie allo smartphone”. Qui sotto la versione integrale della nostra intervista.

  • Microfoni per smartphone: le soluzioni più classiche

    Microfoni per smartphone: le soluzioni più classiche

    Prendere un buon audio con lo smartphone non è mai stato così facile e pulito. Vuoi sapere come? Ecco alcune soluzioni, classiche e stabili, con alcuni ragguagli tecnici che ti faranno trovare il microfono che preferisci a seconda delle esigenze che hai.

    Se segui il mio lavoro, forse avrai notato che sto parlando molto dei microfoni senza fili, di quelle soluzioni per l’acquisizione del suono che viaggiano sulla connessione bluetooth con il telefonino. Ecco, in questa occasione, invece, parliamo di due soluzioni con attacco fisico allo smartphone, costruite per non avere alcun tipo di tradimento per quanto riguarda la “presa” di un buon audio. Sto parlando di due soluzioni del brand australiano Rode, ottime per risolvere i problemi riguardanti interviste posate o per “catturare” il suono in modo eccellente nella bolgia di mille telecamere (cosa che ai colleghi delle news capita molto spesso.

    Il Rode SC6-L (per telefoni iOS)

    Il kit SC6-L della Rode

    Fra i microfoni per smartphone di categoria lavallier, il set con due microfoni più l’adattatore lightning commercializzato dalla Rode con il nome di SC6-L è lo strumento indispensabile per fare ottime interviste senza alcuna sbavatura. Innanzitutto ti specifico che, se vuoi il set da due “spillini” più la porta-adattatore con i due ingressi TRRS, devi cercarlo esattamente a questo link qui: si chiama SC6-L mobile interview kit. Splendide le caratteristiche di questo prodotto che io uso con grande facilità soprattutto per i podcast. I due lavallier hanno qualità del suono pari al broadcasting e capsula in kevlar, garanzia di solidità dell’hardware e di profondità del suono. Questo piccolo sacchettino degli strumenti è un must have per le interviste da seduti, con inquadrature posate, sebbene possa essere usato, vista la direzionalità dell’acquisizione suono, anche da microfonino per la cronaca. Io lo considero una piccola working station se devi fare lavori audio come podcast o format, perché garantisce pulizia nell’acquisizione del parlato.

    I microfoni entrano mixati automaticamente nelle device iOS e possono essere gestiti molto fedelmente dalla app di Rode chiamata Reporter. Con la definizione si va a 44.1/48 khz e a 24 bit. Gli SmartLav+ che fanno parte del kit si armonizzano facilmente con le app di registrazione del mondo Apple.

    Il mitico Videomic me (L e normale – iOS e Android)

    Ecco il solido mezzo fucile Videomic Me L

    Il Videomic Me, mezzo fucile della Rode solido e preciso. è una specie di “grande classico” dell’audio per smartphone. Si può trovare una versione con la presa lightning e con il jack, ma quello che conta è la sua facilità d’uso e la sua solidità. Dotato di una presa cuffie può permetterti di ascoltare il suono che stai registrando (è lo stesso anche per l’SC6-L) con conseguente maggiore assicurata nel risultato.

    E’ il classico microfonino che pesca anche attorno ai 2,5 metri di distanza. Il range di frequenza è sui 20 khz mentre il suono è a 24 bit. Ha una grande efficacia nel ridurre i rumori e comincia a perdere di qualità attorno ai 2 metri di distanza. Nel confronto “one to one” (per un’intervista nella bolgia) o per fare speech con la selfie camera, è praticamente perfetto. Viene venduto con un antivento, un topo (per intenderci) in grado di svolgere molto efficacemente la sua funzione. Ecco un piccolo test di resa sotto stress.

    https://www.instagram.com/p/BuYrVdeh1GF/?utm_source=ig_web_copy_link

    Audio con attacco fisico, assicurazione sulla vita.

    L’australiana Rode è fra le aziende che fanno cose meravigliose, anche e soprattutto con attacco fisico. Naturalmente il filo o la “presa diretta” come nel caso del mezzo fucile, sono i modi più fedeli di acquisire audio. A questo proposito sappi che continuerò le chiacchierate e i piccoli test sull’argomento e sul settore dei microfoni wifi. Voglio che questo blog rappresenti per te un valido punto di riferimento per rispondere alle domande sulla strumentazione adatta per fare mobile content creation.

    Ulima considerazione: so bene che il kit è un po’ costoso, ma tieni conto che, con 300 euro, hai praticamente risolto oltre il 90 per cento delle soluzioni di acquisizione di audio. Non ti sembra interessante?

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  • Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: sono in mezzo alle scartoffie.

    Ho controllato ora e posso dirlo: da poche ore, esattamente da ieri, sono un Operatore Sapr (attenzione, non dire mai che sei un pilota perché quelli che hanno preso il patentino si arrabbiano) con il mio Spark ufficialmente registrato all’Ente Nazionale dell’Aviazione Civile sotto il nome di “Davide2012”.

    Beh, sono molto contento, anche se le carte non sono finite. Diventare operatore di volo con i droni è complicato, ma mi stupirei se non fosse così visto che hai tra le mani un aeromobile che può provocare tantissimi danni se non lo sai usare adeguatamente e se non rispetti le regole di volo.

    Sto continuando a guardarmi intorno.

    La mia entrata nel mondo dei droni è un’entrata davvero piena di entusiasmo e del senso di meraviglia per le potenzialità di questi apparecchi tecnologici che, al prezzo di poche centinaia di euro, offrono delle qualità pazzesche per la produzione di immagini. Ho letto siti, guardato articoli, ammirato molti video, ma ho subito notato che c’è un vizio persistente nella videografia dei droni.

    Vuoi sapere quale? Il mezzo con il quale si fanno le immagini, vista la grande potenza evocativa dei ritratti visivi che riesce a fare, diventa il fine di un intero video. Ho visto decine e decine di video tutti omologati nel replicare immagini molto alte, di splendidi paesaggi, di contesti stupendi e legati a doppia mandata con la replica visiva artificiale di un ancestrale desiderio dell’uomo. Quale? Ma quello di volare, naturalmente.

    Raccontami una storia, che diamine.

    Non sono riuscito, davvero, a trovare un video che raccontasse, per mezzo delle immagini del drone, una storia compiuta. Non sono riuscito a capire se ci sia davvero qualcuno che prenda il drone (mezzo) per massimizzare un racconto (fine) e non faccia diventare il fine della sua storia visuale il drone stesso. L’essenza del mobile journalism è questa: valorizzare mezzi inconsueti per scrivere storie non usuali. Senza mai far diventare il mezzo troppo protagonista. Dalle mie prime escursioni da spettatore, quindi, è stato più volte lisciato il pelo dell’Icaro che c’è in me, ma non mi è mai stata raccontata una storia compiuta e resa ancora più unica dalle immagini girate da un drone.

    Mi metto in gioco. Voglio aiutare il movimento dei dronisti italiani ad ampliare il discorso tecnico per costruire una grammatica visuale e creativa dei video con i droni che, da quanto mi pare di aver capito, manca. Desidero davvero che ascese, discese, avvitamenti, cerchi, piani sequenza bassi e alti, immagini in verticale e carrellate a 360 gradi diventino un linguaggio grammaticalmente coerente con quello del racconto visuale e possano essere movimenti ripetibili e inseribili in un discorso. Non dobbiamo insegnare ai droni a mostrarsi, ma per fare video con i droni dobbiamo insegnare ai loro operatori a scrivere.

    Le app non ci devono togliere il lavoro.

    Anche in questo caso, come in tutti gli altri hardware, le app di editing non devono toglierci il lavoro di montaggio e di scrittura per immagini di una storia. E’ un’altra cosa che non mi piace. Davvero negativa. Insomma lo strumento drone non può essere reso ancora più protagonista dai montaggi delle app dei costruttori, le quali continuano a rendere protagonista soltanto lo strumento, togliendo ancora di più autonomia a chi lo usa. Insomma, c’è un vizio di forma che va riparato ed è l’assenza di una grammatica visuale del drone, di un vero e proprio alfabeto del video con i droni. E’ ora di costruirlo.

     

  • Taz Goldstein: “Hollywood ha paura degli smartphone nel cinema”

    Taz Goldstein: “Hollywood ha paura degli smartphone nel cinema”

    A Hollywood c’è un visionario di nome Taz Goldstein.

    Già, proprio un pazzo, un rivoluzionario. Sto parlando di un quieto signore americano di mezza età che risponde al nome di Taz Goldstein e che è di diritto nella storia del mobile journalism e della mobile content creation per quello che ha deciso di fare. Di cosa sto parlando? Sto parlando del fatto che ha cominciato un blog sul filmmaking con gli smartphone nel 2009 (!), che ha “catechizzato” verso la mobile content creation moltissimi videomaker indipendenti e che ha lui stesso introdotto nel suo lavoro molti criteri di produzione e realizzazione delle immagini con device e app mobili.

    Il suo blog si chiama Handeld Hollywood e da quel blog è nato un libro capolavoro (a dire la verità un minimo datato, ma ancroa di valore) che si intitola “Filmaking with an iPhone or an iPad”. Ti metto qui il link al blog che ricorda gli elementi, i concetti e le app che ha descritto nella sua presentazione di Galway nella quale ha svelato i segreti del filmmaker in mobile.

    Un signore del grande, medio e piccolissimo schermo.

    Taz Goldstein è uno che ha lavorato per Universal, Sony e Fox, lasciando la sua firma anche nel mondo delle aziende con “commercials” come Google, Adobe o Microsoft. Quello che stupisce, però, è come consideri il linguaggio visuale mojo come qualcosa di assolutamente naturale e imprescindibile per il presente e il futuro del cinema. Quando gli chiedo consigli, infatti, dimostra di essere assolutamente al servizio della cosa più importante, qualsiasi sia  lo schermo che tu stai usando per riprendere la scena che hai davanti.

    Di cosa sto parlando? “Della storia – dice -. E’ la storia che importa, non la macchina con cui la riprendi. Certo è, tuttavia, che il mobile ha dato un grande impulso alla creatività e ha “liberato” le teste. Ora, infatti, tutti sono liberi di provare, sperimentare, tentare e anche di sbagliare. Ecco, se posso dare un consiglio, dico ‘buttatevi’ e siate liberi di sbagliare! Poi aggiungo: usate il mobile, anche se non filmerete in mobile. Vi permette delle cose pazzesche anche in fase produttiva. Però la cosa che piace di più a me del girare in mobile è la possibilità di sbagliare serenamente: ecco, sbagliate e riprovate”. Un signore del grande, medio, piccolo e piccolissimo  schermo.

    Bada a dove lo metti!

    Sentire parlare Goldstein è un sollievo. “Un’altra cosa che dico – aggiunge – è di preoccuparsi di dove si mette la camera, il mobile. Già, perché gli smartphone possono darti delle prospettive uniche di una scena e puoi regalare a chi vede prospettive che non sapeva di poter avere. Direi che questo è fantastico e ti libera, quando stai creando”.

    Non ho potuto non sfruttare l’occasione di chiedere a Goldstein consigli su come un filmmaker possa “monetizzare” seriamente i suoi progetti, ora che la mobile content creation regala possibilità incredibili a costi più contenuti. “Non crediate di poterci campare da subito – dice chiaramente Taz -, ma ci sono delle opportunità nuove che fornisce il mojo e che vanno sfruttate. Io lavoro a Hollywood e vedo centinaia di storie che non vengono raccontate in cinemascope perché Hollywood lavora solo con certe logiche o avrebbero bisogno di certi macchinari per essere girare. Beh, ora questo può cambiare”.

    I soldi arrivano tra costi abbattuti e nuovi canali di pubblicazione.

    “Oggi, infatti – racconta Goldstein – le cose si stanno modificando e il fatto che puoi risparmiare sulla produzione effettiva del film usando il mobile libera delle risorse che puoi utilizzare facendo auto pubblicazione o diffusione attraverso canali diversi dal passato. Ora non hai bisogno di budget tremendi per fare un film. L’introduzione di un approccio low budget è liberating, ti apre la mente e ti fa ingegnare anche quando devi distribuire il film, visto che di piattaforme ora ce ne sono parecchie”.

    “Certo, non ci fai tonnellate di soldi – continua -, ma ci sono iniziali esempi brillantissimi come Tangerine (film girato con iPhone 5s nel 2015). Anche in quel film, però, come ho già accennato, era la storia bellissima a comandare. Poi il regista Sean Baker è stato bravo, perché non ha badato ad altro che ha “massimizzare” la resa degli iPhone mentre riprendeva, senza pensare che erano iPhone”.

    E poi è arrivata la meteora Soderbergh.

    Beh, si, ok. Ci sono stati degli esploratori, come Goldstein stesso, come Koerbel e come Baker, ma a aun certo punto è arrivato un tale di nome Steven Soderberg con il suo Unsane, girato con iPhone 7 Plus. “Le reazioni sono state di due tipi – mi ha raccontato Goldstein -. Quella dei registi è stata timidamente incuriosita: tutti hanno pensato alle potenzialità che offre il mezzo, alle nuove inquadrature e ai nuovi linguaggi e molti hanno detto “mmm, quasi quasi ci provo”.

    “Poi c’è stata la gelida reazione dei produttori – aggiunge -, quelli che devono continuare a badare alla loro macchina da cinema così vecchia e costosa. Quelli hanno fatto finta che il film non esistesse… attanagliati dalla paura di dover cambiare e fare a meno di tutta quella costosissima macchina produttiva che hanno sulle spalle. Eh, ma il problema è che prima o poi dovranno rendersi conto che la rivoluzione è cominciata”.

    Si, ok, ma sti diavolo di produttori di telefonini continuano a occuparsi di foto.

    Ho chiesto a Goldstein di chiarirmi come vede la tendenza del mercato dei produttori di telefoni che fanno fotocamere pazzesche, ma non si dedicano alla parte video. Geniale la sua risposta: “Penso che sia perché il consumatore ha paura – ha raccontato chiudendo la nostra chiacchierata – perché tutti si sentono capaci di fare una foto, ma in pochi si sentono in grado di fare un buon video. Vedrete, però, che la generazione dei nostri figli spazzerà via tutto. Il motivo? Loro parlano con i video, loro sanno fare video senza che nessuno glielo spieghi. Loro sono dei videographer nati e lo sono… con lo smartphone”. Mi sento decisamente meglio.

    L’intervista a Taz Goldstein.

  • Come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism

    Come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism

    Vuoi sapere come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism?

    Strano, ma vero: non ho mai risposto a questa domanda sul blog.Eppure mi sono sentito fare questa domanda centinaia di volte. “Francesco, che telefono mi consigli? Francesco, questo xxx va bene? Francesco ma c’è in offerta questo telefono: cosa faccio, lo prendo?”: ho ricevuto decine e decine di messaggi come questo, ma ho risposto prima in inglese che in Italiano. Già, perché nel mio account di Medium sto allestendo alcuni discorsi sul mobile journalism per “Dummies”, per impediti, e una delle domande cui ho deciso di dare risposta subito e proprio questa sul come acquistare lo smartphone giusto. Però l’ho fatto in inglese. Ora riparo il guaio e te lo racconto anche in italiano, la qual cosa può essere utile specialmente se capiti da queste parti per la prima volta.

    Regola numero uno: mai un telefono nuovo.

    Ti chiederai perché, ma la risposta è molto semplice. Il telefono nuovo costa e, sinceramente, visto che fai o vuoi fare il mobile journalist, le possibilità che ti cada o ti venga rubato sono molte di più rispetto a quelle di un possessore normale.  Oltretutto i telefoni più rodati sono anche più stabili e meno “sottoposti” a eventuali crash di tenuta del sistema operativo. In certi casi, poi, cambiano addirittura le gesture e i modi d’uso del telefono stesso (vedi l-iPhone X). Di conseguenza potrebbe essere difficile riabituarsi. Io ti consiglio una cosa del genere: se esce l’ultimo modello è il momento, se proprio devi cambiare il telefono, di prendere quello prima.

    Android o iOS?

    In Italia il 70 per centro dei telefonini che girano è Android, il 30%  è Apple. Se desideri che ti aiuti a scegliere come acquistare lo smartphone giusto per te ti suggerisco di capire prima che tipo di mobile journalist sei. Se hai una necessità di qualità dell’immagine, sia fotografica, sia video, ti posso dire che gli Android battono gli iPhone.

    Se vuoi invece avere più possibilità di lavorare meglio l’immagine dopo, con migliori applicazioni di montaggio, prendi uno smartphone della mela. Nella bibbia su come acquistare lo smartphone giusto, però, devo mettere un altro distinguo. Per il montaggio delle immagini, l’applicazione più importante del mondo Android è Kinemaster. Ecco, se vuoi acquistare lo smartphone Android, bada che sia compatibile con Kinemaster in tutte le sue funzioni. Per farla breve: se sei più fotografo acquista Android, se sei un videomaker mojo acquista Apple.

     Il processore e la Ram.

    Siccome vuoi fare il mobile journalism devi avere, comunque, a disposizione una macchina di ultima generazione, affinché i processori e la Ram ti garantiscano una buona velocità di operazione soprattutto quando stai editando un video e muovi tanti dati. Gli iPhone, con l’A11, sono arrivati a una potenza di calcolo degna di un palazzo della IBM dentro un palmo di una mano. Nel mondo Android, invece, gli ultimi processori Snapdragon (montati sui Samsung) e gli ultimi Kirin (come il 970 montato su Huawei P20) sono il massimo. Certamente la ram deve essere da tre in su, ma questo è quasi un assunto.

    Gli ultimi sistemi operativi.

    Nel percorso su come acquistare lo smartphone giusto va anche evitato l’ultimo sistema operativo (almeno dove possibile). L’ultimo OS, infatti, è solitamente causa di chiusure inaspettate e salti di app che possono mettere a repentaglio il lavoro che hai fatto. L’ultimo sistema operativo, oltretutto, può essere un vero mangia batteria Se l’hardware che prendi non è di ultima generazione. Sul mio S8 Samsung senti un po’ cosa è successo.

    Il budget, la memoria e i pensieri affini.

    Se la batteria è ko dopo due ore, quindi, sei ko anche tu. Il cellulare, naturalmente, deve anche essere resistente agli urti e non deve preoccuparti troppo come protezioni e manutenzioni. Il ragionamento centrale, poi, è quello che riguarda il budget. Siamo freelance e dobbiamo ragionare come un’azienda: allora per sapere come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism bisogna anche partire dal budget.

    Penso che entro i 550 euro si può restare tranquillamente e ce ne restano ancora un paio di centinaia per aquistare un buon microfono professionale, spesso attrezzo più importante per il videomaker mojo del telefono stesso. Un altro criterio importante è la memoria, grazie alla quale possiamo avere più o meno libertà operativa. Dai 64 giga in tu è tutto buono, meno è un casino. Pensaci.

    L’ultima riflessione è per un pensiero laterale che mi viene ogni volta che faccio questi pezzi. Non spendere troppo, perché la vera differenza la farà la storia che finirà dentro il telefono. Certamente non il telefono stesso.

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  • Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Furto della privacy e dei dati: glielo permettiamo noi.

    Ti sembra una cosa strana? Guarda, ti consiglio di darti una letta a questo pezzo, una guardata al video e di prendere tutto il tempo necessario per approfondire la cosa. Nel frattempo ti do una mano grazie a un incontro che ho fatto qualche giorno fa a un convegno di un’azienda. L’argomento era il nuovo regolamento GDPR che riadeguerà in seno alle aziende la gestione dei dati della privacy e di tutto quanto gli ruota attorno. A un certo punto ha preso parola un avvocato di Vignola, Rossella Masetti, il cui sito è questo,  e ha parlato di dati personali e di privacy  come del più importante e rilevante, anche economicamente, bene immateriale della nostra epoca.

    Ho subito pensato a quanto ci fottono della nostra vita.

    Mentre la sentivo parlare pensavo al mio telefonino e alla pazzesca pervasivita del collezionamento dei dati personali che fa ogni luridissima app, perpetrandoci, col nostro ignaro consenso, il furto della privacy con cadenza giornaliera. Sono subito volato a presentarmi e l’ho fermata per farla parlare di questo e della sua ricaduta sulla nostra vita e sui nostri figli.  Già, perché se sei un genitore digitale deiv essere ben conscio di questo: ti fottono la vita (e quella di tuo figlio che gli interessa molto di più) con il tuo consenso. O, perlomeno, con il tuo silenzio. Ecco la choccante verità dell’avvocato Masetti.

    Adesso, però, non chiudiamoci in casa col telefonino spento.

    Non serve (tanto saresti tracciabile anche lì). Devi piuttosto fare attenzione a quello che stai facendo e a quello che farai quando scarichi una app. Siccome, tuttavia, il furto della privacy è praticamente inevitabile, ti rimando al link del pezzo che avevo scritto qualche tempo fa sul bike sharing a rilascio libero. Il pensiero era questo: se queste app ti perpetrano il furto della privacy senza manco chiederti il consenso e ci fanno i miliardi, perché non possiamo condividere il risultato economico? Perché, detta da poveretto, non mi cacci la lira per questo furto legalizzato della privacy? D’altronde l’avvocato Masetti sostiene, con grande senso, che i dati personali sono il bene immateriale più prezioso che hai. Vuoi cederlo? Almeno vendilo. E bene.

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