Tag: social media

  • YouTube, il più potente di tutti

    YouTube, il più potente di tutti

    La scoperta di YouTube.

    Mi occupo di live streaming da molto tempo e da un po’ (molto meno) di YouTube. D’altronde (e per fortuna) non posso sapere tutto. Da circa sei mesi, tuttavia, ho iniziato un percorso sul social dei video che mi ha portato a scoprire ogni angolo di questa piattaforma. Prima la consideravo solo una repository dei miei video, di quelli che mi servivano per fare embed sul mio sito. Poi, studiando, si è svelato davanti a me quello che penso sia, senza dubbio, il più potente dei social. Ecco i key point di questo articolo.

    Key point

    • Il contenuto riguarda ciò che si può trovare dentro YouTube, suggerendo la presenza di un vasto universo di contenuti.
    • Fare lo YouTuber è un mestiere fantastico. Questo contenuto ne descrive le caratteristiche.
    • Parla dell’enorme quantità di dati che YouTube possiede, descrivendoli come qualcosa di meraviglioso.
    • Fornisce spunti o indicazioni su come poter utilizzare i dati di YouTube.

    I video, gli spiegoni, ma non solo

    Dentro YouTube trovi il mondo. Il motivo per cui le persone ci vanno è semplice: trovare come si fa una cosa. Il social video di Google è il secondo motore di ricerca del mondo e questo è un po’ inquietante. Perché? Perché è di Google e il primo motore di ricerca è… Google. Ma parte questo…

    Lì trovi le spiegazioni, le cose che non sai, i modi di fare una cosa, un’operazione, una creazione, una riparazione, un problema di matematica o un cerchio disegnato in modo perfetto.

    E tanto altro… trovi intrattenimento, pensiero, volgarità, eccellenza, mediocrità. Trovi soprattutto persone che parlano ad altre persone e si collegano in diretta per mostrare fatti ed eventi, ma anche per rispondere a domande. Interagire. Dentro YouTube, quindi trovi comunità e hai tra le mani una potenzialità impressionante. Questo social è la televisione del 21esimo secolo e il bello è che tutti possiamo averne una. Perché è il regno del live streaming.

    Lo YouTuber, il mestiere più bello del mondo

    In Italia, in modo particolare, c’è una campagna abbastanza squalificante nei confronti degli YouTuber. Non la trovo giusta. Fare lo YouTuber è uno dei mestieri più belli che uno possa intraprendere perché ha a che fare con la creatività e con il parlare con le persone. Si tratta di un mestiere durissimo perché impone molto più di altri disciplina e costanza. Come se non bastasse bisogna alimentare la sacra voglia e il fuoco dell’esprimersi, del creare, del pensare, progettare e realizzare contenuti.

    E non è da tutti, anche se si può imparare. E’ un lavoro che, se improntato al contenuto di qualità, ti regala soddisfazioni enormi, a costo di sacrifici molto alti. E ti dona l’opportunità di conoscere benissimo la comunità cui parli perché i dati che offre sono assolutamente più precisi e più indicativi di qualsiasi altro social network. E su quelli devi ragionare per modificare e far evolvere le risposte che dai a chi fa domande su YouTube.

    I dati di YouTube, una miniera d’oro

    Ora che sto lavorando su un canale YouTube con migliaia di iscritti, il mio ancora non li ha, mi sto accorgendo della bellezza dei dati di questo social e del valore che hanno rispetto a tutti gli altri. Le visualizzazioni, le ore visualizzate dai video, gli iscritti, le entrate stimate, le curve di fidelizzazione video per video. Un mare di dati. E poi, il pubblico, il sesso, l’età, le città. I nuovi spettatori, gli spettatori che tornano. Il valore dei live streaming, dei video singoli, degli shorts rispetto al totale delle interazioni.

    Sono tutti dati che ti dicono come si muove il tuo pubblico, cosa gradisce e cosa non gradisce. Ti dicono, chiaramente, cosa vuole il pubblico e cosa puoi fare a meno di fare.

    Ti racconto un episodio. Su questo video.

    Un video del mio canale che la dice chiara su quello che penso del giornalismo e dei giornalisti.

    A un certo punto c’è un picco dell’attenzione nella curva del video. Per curiosità sono andato a guardare e ho visto che arriva esattamente sulle parole perché io odio il giornalismo e i giornalisti”. Capisci? Una scossa del pubblico quando dici determinate parole. È come avere chi guarda i tuoi video davanti a te. È una completa rivoluzione rispetto al passato di ogni giornalista o produttore del contenuto. In questo social è come se tu fossi sempre dal vivo perché questo social… è vivo.

  • Ferragni, che magnifico regalo

    Ferragni, che magnifico regalo

    Chiara Ferragni, in questo finale del 2023, ti ha fatto un grande regalo.

    Non te ne sei accorto? Eppure è proprio così. Il caso della straordinaria imprenditrice e influencer Chiara Ferragni, finita nel fango dell’affare panettoni ha portato alla ribalta ciò che sta succedendo sui social network in questo piccolo spicchio di storia del genere umano. Cerco di ricostruirti la cosa mettendo un po’ di ordine e cercando di tirarci fuori del buono per me e per te.

    I social mutano velocemente

    I social network stanno evolvendo e non si capisce ancora dove stiano andando. Molti, da LinkedIn a Facebook fino a X, hanno servizi premium di cui non comprendo ancora il senso. Questo cambiamento sta modificando l’uso dei social e il pubblico dei social. Tanto per dirne una i social premium non hanno più la pubblicità (o almeno ne hanno meno): per questo motivo il ruolo di chi lavora nell’advertising deve cambiare. Il caso Ferragni lo sta mostrando in modo evidente.

    In questo momento, quindi, chi ha vissuto con i canoni e i numeri delle piattaforme sociali nella loro prima era sta scricchiolando pesantemente. Le stesse social company stanno perdendo utilizzatori, interazioni e fatturato e si divertono a inventare cloni (vedi Meta con Threads creato per cercare di uccidere Twitter) per rubarsi fettine di mercato e per cercare di scappare dall’emorragia di soldi che stanno patendo.

    La Ferragni è stata un simbolo

    In tutto questo casino, la Ferragni è stata l’immagine italiana nel mondo della prima era dei social. E’ stata l’apparire al posto dell’essere. Ha costruito una straordinaria realtà imprenditoriale sfruttando alla perfezione il meccanismo dei social come ce li hanno propinati finora. Il suo business è partito dal contenuto (certo, di settore) ai tempi di “The Blonde Salad“, il blog di moda da cui è iniziato tutto. Poi si è progressivamente svuotato fino a diventare una serie di manifesti pubblicitari e di messaggi prefabbricati sul suo essere una brava mamma. Il suo account Instagram è un guscio vuoto. Da mesi, forse da anni.

    Il suo linguaggio (io seguo con attenzione anche il canale broadcast, che ti credi) è diventato monosillabico e si è dimenticato perfino della punteggiatura. Ti do una dritta se hai figli: guarda le chat dei tuoi pargoli e guarda il canale della Ferragni. Sono uguali, pieni di frate, bro, cute, wow, guys. La grammatica italiana di base, nell’account della nostra eroina in disgrazia, ha salutato… se non per i momenti in cui esponeva il suo apparire per delle cause o per della beneficenza (la cui efficacia è tutta da verificare).

    Dietro l’account niente

    La Ferragni era insomma un brand in cui… “dietro l’account niente!”. Poi è andata a sbattere sull’affare Balocco. I social l’hanno messa alla gogna, ma io non lo farò. La signora Chiara Ferragni è una delle imprenditrici di maggior successo che conosco e merita tutto quello che ha creato. La questione Balocco, tuttavia, l’ha mandata a sbattere non solo contro un suo clamoroso errore, ma anche contro un momento epocale del nostro vivere digitale e social. Dai, Chiara, te lo dico io: gli account dentro i quali non c’è altro che pubblicità sono finiti, così come è finito il mondo in cui i social network erano solo apparenza. Finalmente cominceremo a misurarci alla pari tutti quanti con la possibilità di creare account che abbiano un seguito perché ciò che comunicano è rilevante. Ha vinto chi crea contenuti utili o ispiranti.

    Il regalo di Chiara è importantissimo

    La Ferragni si è immolata diventando la prima vittima di questo cambiamento perché è l’italiana più famosa nel mondo dei social. Più sei evidente e più sei su e più diventa fragorosa e dolorosa la caduta. La immagino, come dice mia nipote Sofia, lontana dal suo smartphone per non uscire di testa a causa del linciaggio che esageratamente riceve. Tuttavia, forse, Chiara non si è accorta che ci ha fatto un grande regalo andando per prima incontro al cambiamento di cui abbiamo bisogno tutti. Cambiamento che non ha ancora operato, visto che i suoi social sono praticamente bloccati dopo il video del “pentimento”.

    Il regalo è questo: lei per prima ha patito il contraccolpo di un linguaggio vuoto e ora paga il conto per tutti. Dico una cosa che dovrà fare lei (e spero e credo la faccia), ma che, soprattutto, dobbiamo fare io e te. Se i social network continueranno ad avere senso devono averlo grazie a un linguaggio nuovo e a contenuti di valore. Il regalo di Natale della Ferragni è questo: ci ha fatto capire, suo malgrado, che essere vuoti di contenuti, perfino quando fai beneficenza, è un gioco che non paga più. Quindi la signora dovrà metter in campo i contenuti al posto del reality show. Se no è destinata a sparire. Lo stesso dovrai fare tu.

    Il linguaggio trasversale

    Hai bisogno di crearti un linguaggio che sia l’arma con cui sparare i tuoi contenuti di valore. E posso dire anche che è il momento in cui te ne devi trovare uno che attraversi le piattaforme: sono stufo di adattare il mio linguaggio al mezzo solo perché le metriche mi dicono che un mio video su Tiktok viene visto poco dopo i primi 15 secondi. Eh, mi spiace per chi quei quindici secondi non li supera…

    Inventiamoci un linguaggio trasversale (dal mio canale YouTube

    Una volta inventato quello progetta i tuoi contenuti e racconta i tuoi percorsi in modo da creare in chi ti legge gratitudine per quello che legge. I tuoi social e i miei social sopravviveranno così anche perché, per ora, si possono scordare di ricevere i miei soldi se non mi danno valore. “Sai qual è l’unico social che pagherei? Quello che mi è utile: Whatsapp!”: sono parole di mia nipote.

    Gli altri social possiamo hackerarli solo smettendo di apparire e cominciando a essere. Con il nostro linguaggio trasversale e con i nostri contenuti.

    Aspettando la Ferragni 2.0

    Sono praticamente convinto che la signora Ferragni stia preparando un cambiamento, anche perché ha platea, contenuti e possibilità di creare un linguaggio e dei contenuti rilevanti che le facciano dimenticare questo momento. Anzi le faccio un appello: signora Ferragni, lo faccia. Cominci a raccontarci chi è, cosa fa, come lo fa, perché lo fa e come è arrivata fino lì. Sono convinto che i suoi milioni di fan diventeranno ancora di più e finalmente si accorgeranno che lei non è un guscio vuoto.

    La foto è uno screenshot del sito www.theblondsalad.com.

  • Il contenuto non è democratico

    Il contenuto non è democratico

    Se il contenuto è re (e lo ha già detto qualcuno), il re non è democratico.

    Sono in Friuli e fa un freddo cane. Son qui per affari di famiglia. Sono momenti nei quali penso a quello che devo fare, ma anche a quello che voglio scrivere. Mentre faccio commissioni o sposto scatoloni, mi iniziano a girare nella testa parole che si mettono a posto e danzano una danza sempre più regolare. Attorno a una cosa che ho saputo, attorno a una che ho visto o vissuto. Su una cosa che ho pensato. Si chiama produzione del contenuto. A me viene in modo istintivo e il mio piano di social e contenuti mensili finisce spesso a essere sbeffeggiato dalla mia realtà incipiente.

    Il contenuto chiede rispetto

    La riflessione che faccio oggi è una riflessione che parte da un’esperienza più volte vissuta. Io vivo di contenuto, vivo di parole e immagini, vivo di creatività “direzionata” se è vero che devo trasformare in contenuti i progetti, i pensieri e le parole dei miei clienti. Però per i contenuti ci vuole rispetto.

    Allora ho pensato a questo giro di parole attorno al contenuto. Il contenuto chiede rispetto perché il contenuto sei tu. Se produci i contenuti per raccontarti o raccontare i tuoi percorsi, quello che mostri al pubblico deve essere progettato in modo serio, deve dare valore agli altri, essere utile, di ispirazione o di riflessione, ma va preso per quello che è. Nessuno può permettersi di discuterne la forma, è pretestuoso attaccarsi a una virgola per discutere il senso di quello che dici, fai vedere o fai sentire.

    Ci possono stare i rilievi sulle imprecisioni, sui refusi, sugli errori strumentali. Non ci può stare la discussione sul senso che attacchi il contenuto per tirarlo giù. Se quello è il tuo quadro, chi lo osserva non può obiettare che hai messo le tue pennellate nel posto sbagliato. Può invece, dire, non mi piace. Può non essere d’accordo. Può recepire un messaggio diverso da quello che avevi intenzione di dare tu.

    Se il contenuto è per un tuo cliente

    Anche in questo caso, per il contenuto che crei tu e che deve interpretare i desiderata di una persona o un’azienda che te lo ha chiesto, il contenuto non si può prestare allo sbrandellamento dei non mi piace e dei “mai io me lo immaginavo…”.

    Il contenuto che crei per terzi, parte dai terzi. Se quello che ritorna tra le loro mani è divergente rispetto a ciò che pensavano non è tuo il fallo. E’ loro. Perché finita la parte di concetto per allestire un contenuto, beh, lì entri in campo tu. Tu con la tua poca o tanta cultura, tu col tuo vissuto, tu coi tuoi pensieri. Chi ti ha chiesto un contenuto si suppone (se non lo ha fatto, male) che abbia letto e visto prima i tuoi contenuti. E sia venuto da te perché te vuole.

    Allora deve fare a fidarsi. Sapere che il contenuto che produrrai è il meglio della tua creatività, ma che non può sedersi al volante della tua macchina creativa, perché lì ci sei e resti seduto tu. Può rilevare errori, imprecisioni, cose non convenienti al suo progetto, ma non può dire “non mi piace”. Il contenuto non è democratico perché il contenuto sei tu e quel tuo modo di trasformare il vissuto, l’ascolto, lo studio, l’osservazione, l’emozione, il sentimento, in contenuto è solo tuo.

  • Social media: come riempire un silenzio

    Social media: come riempire un silenzio

    Social media e formazione: ecco cosa significa per me

    Sto tenendo dei corsi sulla produzione del contenuto sui social media e sul social media marketing preso dalla parte del contenuto. Un’esperienza nella quale ricevo senza dubbi molto più di quel che do e che mi mette costantemente in discussione. Già, perché io sono un produttore di contenuti e dal contenuto parti per ragionare su come le persone, i professionisti, le aziende, le istituzioni possono ottenere valore. Ecco cosa significano per me i social media ed ecco come imposto la mia formazione.

    Imparo ogni giorno

    La bellezza di questo percorso è che imparo ogni giorno. Oggi, per esempio, mi sono portato a casa un ragionamento che ti metto su queste colonne perché penso che possa esserti utile. Sai che il mio lavoro è, principalmente, sulla piattaforma di Algoritmo Umano. E forse sai anche che qui ti riservo delle considerazioni più personali su quello che faccio, magari tralasciando gli aspetti auto-referenziali e cercando di girarti cose che ti siano utili. Le cose che imparo.

    Mentre le dico le apprendo

    Il lavoro che faccio sui social media è ancora troppo istintivo e oggi mi è capitato di parlarne. Mi è capitato di parlare dei momenti in cui ti ritrovi a dover pensare a come riempire un silenzio, a come riannodare un filo che, magari, a causa di vicende tue hai interrotto nella pubblicazione sui social media.

    Avevo davanti una splendida classe di corsisti, uomini e donne dotati di esperienza e professionalità da vendere. Un gruppo fantastico come spesso mi è capitato di incontrare nella mia collaborazione con Afolmet. Ebbene, abbiamo parlato di come riempire un silenzio sui social e mi sono ritrovato a rifare e precisare un ragionamento che avevo già fatto. Il fatto di farlo assieme ai miei corsisti mi ha aiutato a rimandare a memoria i passaggi e ad apprenderlo meglio.

    L’ho rifatto mio.

    Sono fatto male

    Già, son fatto male, perché nel mondo dei social media penso che conti il valore e che non contino i numeri. Penso anche che i social media siano luoghi dove vivi tanto quanto un ufficio, un’aula, una casa, una strada, un bar, un ristorante. Penso che la nostra vita digitale sia la nostra vita reale e che i social siano un mezzo di relazione, più che di vendita.

    Ogni nostro account social è un pezzo della nostra vita e la nostra vita è un costante cambiamento.

    E allora perché i social devono sempre essere precisi e impeccabili e sottostare a un perfetto codice di apparenza?

    Di conseguenza ci sono anche i momenti in cui ti allontani, in cui stai in silenzio, in cui non ci riesci. Per questo motivo arrivano i silenzi, arrivano i vuoti negli account. In questo mese io li ho avuti. Me ne sono dispiaciuto fino a quando, oggi, ho spiegato come si spiega un silenzio sui social.

    Il silenzio si spiega riempiendolo, anche sui social media e sul web. Si spiega raccontandolo, si spiegano gli impegni, si raccontano i giorni. Si riempie di contenuto e non ci si deve vergognare di farlo. Anche nella vita fisica ci sono giorni nei quali non stiamo bene, siamo stanchi, preoccupati, affranti, disperati. Giorni in cui stiamo in silenzio. Perché nella nostra realtà digitale, ormai parte integrante della nostra vita, dovrebbe essere diverso?

  • Social audio: dove sono finiti?

    Social audio: dove sono finiti?

    Social audio: un mondo di cui ti ho parlato spesso in questo blog.

    I social audio visti ora, in questa parte finale dell’estate del 2021, sembrano una moda arrivata in fretta e sparita velocemente. D’altronde il web fa spesso così: mangia e defeca tutto in un tempo troppo breve per rendersi conto di quello che sta succedendo. Eppure anche in questo caso l’apparenza inganna. I social audio ci sono e sono sempre più vivi e scalcianti.

    In principio era Clubhouse e quel mondo di chiacchiere che sembrava il nuovo eldorado per i social. Un social sincrono, un luogo dell’esperienza via web che iniziava una nuova era. A febbraio del 2021 sembrava fossimo tutti lì a guardare cosa stava succedendo in questo paese del Bengodi. In aprile… il deserto.

    Cosa è successo ai social audio

    Clubhouse ha avuto il merito di farci conoscere questo mondo e questo nuovo tipo di social e il demerito di farci avere subito un rigetto per troppa esposizione. Clubhouse si è rivelato, infatti, un posto totalizzante, un posto nel quale il tempo di permanenza è diventato indice di dipendenza da questo luogo nel quale, per non perdere qualche chiacchiericcio o qualche nuova stanza interessante, abbiamo bighellonato per ore.

    Troppo.

    Infatti in pochi mesi la popolazione attiva di Clubhouse si è dimezzata e se ci vai a fare un giro ora non trovi più folle oceaniche dentro le stanze di conversazione, ma qualche gatto intento a parlare in posti virtuali che hanno titoli improbabili. Cosa è successo ai social audio? Tutto sommato è facile dirlo. Li abbiamo subito stra-usati e non li abbiamo proprio capiti.

    Social audio: la rivoluzione nel silenzio

    Da aprile 2021 in poi la rivoluzione dei social audio è continuata. Sottotraccia, nel silenzio. Te ne avevo parlato in questo articolo del maggio 2021, ma i possono fare alcuni passi avanti. Dopo la nascita di Dive e di tutti quelli di cui ti parlo in quell’articolo, hanno risposto tutti i big. Twitter e i suoi Twitter Spaces sono addirittura diventati il luogo virtuale in cui sono comparse le prime stanze a pagamento.

    Facebook, dal giugno 2021, ha rilasciato le sue prime feature audio, mentre Spotify ha fatto di più: si è comprata un social audio. Era Locker Room e parlava di sport, ora è Green Room e ci trovi di tutto. Ci trovi, soprattutto, la possibilità di registrare le stanze e trasformarle immediatamente in podcast. Il punto di congiunzione tra social audio e podcast è Green Room.

    Poi c’è il mondo dei social audio asincroni come Swell oppure Beams, interessante per creare micropodcast. Infine social audio di settore come Pump dove ci trovi solo investitori tecnologici. Oppure il neonato Racket che è una piattaforma di lavoro in collaborazione a base audio. Questa ti prometto che la studio e che te la racconterò, ma su Algoritmo Umano. Là, infatti, parlerò di tutte queste piattaforme, qui voglio farti capire il senso di quello che sta succedendo.

    Ti faccio il punto della situazione

    Allora, mio caro, riassumiamo per punti, giusto per essere chiari:

    • I social audio sono un mondo nel quale devi esserci per capire, per ascoltare e per parlare.
    • Possono essere anche asincroni, quindi possono essere basati su note vocali che creano discussioni.
    • Se Twitter, Facebook, Instagram, Telegram e altri si sono mossi, la cosa non è una moda.
    • Le stanze presto diventeranno a pagamento.
    • Per valere e ottenere risultati sui social audio bisogno creare valore.
    • Le aziende ci debbono pensare seriamente perché questi luoghi sociali virtuali sono il posto dove dare una potente accelerata all’interazione con i propri clienti. In un modo mai visto prima e con un costo irrisorio rispetto a ogni social media marketing strategy.
    • Social audio e podcast sono sempre più vicini.

    Modi per creare valore ce ne sono sempre di più

    Come crei valore con il suono? Facendo vivere esperienze a chi ascolta. Facendo interagire chi ascolta con qualcuno che sia speciale per lui. Crei valore facendo sentire musica, regalando cultura. Crei valore facendo capire a chi fa parte della tua community (di lettori, di interessati, di fan, di clienti) che lo stai ascoltando e che, per te, quello che dice, conta. Costruisci valore aprendo le porte del teatro quando il sipario è calato, le porte dello spogliatoio quando la partita è finita, le porte dell’azienda quando è nato un nuovo progetto o un nuovo prodotto sul quale hai lavorato tanto.

    Sai, potrei andare avanti per un sacco di tempo. Mi limito a osservare che, in attesa della crescita dei social audio, in attesa dei voice note social network (saranno quelli basati su formati audio brevi come il Soundbite di Facebook), in attesa delle stanze a pagamento dappertutto, osservo una grande povertà, un enorme carenza di contenuti e di coraggio. Già, infatti, fino a quando c’era da sparar quattro cazzate su Clubhouse eravamo tutti lì. Quando si è trattato di far sopravvivere i format, il valore, il modo, il metodo per creare una community, siamo spariti tutti.

  • Guadagnare con il giornalismo? Servi una comunità come Weishi Italy

    Guadagnare con il giornalismo? Servi una comunità come Weishi Italy

    I segnali sono chiarissimi: per guadagnare con il giornalismo, oggi, bisogna individuare bene una comunità da servire. Non basta più pensare al medium, alla qualità delle notizie, al formato o al mezzo di diffusione (che oggi è principalmente il web). Oggi va progettato anche il pubblico e va progettato bene. Per questo motivo, guadagnare con il giornalismo fa rima sopratutto con individuare bene un proprio pubblico cui fornire dei servizi di informazione che soddisfino delle esigenze.

    Il caso di Micromedia Communication.

    Proprio studiando e leggendo attorno a questo argomento ho osservato con attenzione le comunità di stranieri in Italia e le loro fonti informative. Spesso attorno a fenomeni come i gruppi di persone provenienti da fuori nascono interessanti fenomeni editoriali. Siti, giornali, radio: più è grande la città, più variegato è il panorama dei media in lingue straniere. Accade ovunque, accade anche in Italia, paese nel quale una delle comunità più importanti è quella cinese. A Milano, in particolare, i cinesi sono oltre 30 mila e in Italia poco meno di 300 mila (dato Istat 2018). All’interno di questa community il caso della Micromedia Communication di Jack Jiang e Chi Hai è di straordinaria importanza.

    Il motivo? Semplice: i due giovani imprenditori hanno trovato il format per raccontare l’Italia ai cinesi e i cinesi all’Italia. Storie, tutorial, spiegazioni, informazioni: tutto improntato alla creazione di utilità e al risparmio di tempo per utenti, lettori, spettatori che devono capire molte cose in pochi minuti sul posto dove si trovano o sulla pratica importante che devono portare a termine per la loro vita.

    Guadagnare con il giornalismo: createvi la comunità.

    Jack e Chi hanno lavorato anni sui follower e hanno scelto le piattaforme giuste per evolvere. Prima Wechat, poi i social, poi il sito: ecco la roadmap, impreziosita dalla creazione di un formato particolare e dalla creazione di un nuovo mercato là dove non c’era. Pensare che è stata solo questione di punti di vista. I due imprenditori hanno individuato il target, hanno individuato il modo in cui servirlo (fungendo con il loro medium da ponte di comunicazione fra il mondo dei cinesi in Italia e l’Italia) e hanno poi creato servizi “premium” dedicati.

    In netta crescita.

    Risultato? Sono in crescita netta e attirano l’interesse dei grandi brand italiani che sanno bene come questo sito, la creatura di Micromedia Communication (si chiama Weishi Italy e lo potete trovare qui) possa rappresentare un veicolo di promozione anche verso la Cina, dove la giovane azienda cino-italiana (milanese) ha pubblico molto più vasto rispetto ai numeri italiani.

    Un pubblico, tra l’altro, giovane, con possibilità economico, innamorato dell’Italia e motivato a venire da noi. Insomma, se la mobile media economy (nella quale entra di diritto questo caso, visto che l’interazione con la sua community Weishi la sviluppa molto sugli smartphone), lo deve anche a fenomeni di costruzione della community da servire e di progettazione del medium dedicato alla stessa.

    Un’intervista con Jack Jiang e Chi Hai (Micromedia)