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  • Social network e il momento del valore

    Social network e il momento del valore

    Sui social network, in questo periodo, stanno succedendo molte cose.

    La mutazione di questi strumenti di connessione tra le persone, i social network, appare evidente. Si è manifestata tra risvolti politici, problemi di mercato, attacco delle istituzioni che non ne accettano più la pervasività e modificazione dell’esperienza (come succede su Clubhouse che a mio avviso non è un social network). Se ne sono accorti in molti, ma non si è ancora riflettuto abbastanza su come cambiarne l’interpretazione. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di stare sui social network. Un modo che abbia valore. Toccabile.

    I social sono parte della tua catena del valore

    Sui social si è capito che cominciano a contare meno i numeri. Stanno scomparendo i like, si stanno modificando le notifiche, stanno cambiando i rapporti con i fan. In più modi le varie Facebook e compagnia stanno valutando evoluzioni che cambino, lentamente e inesorabilmente, il loro business. Ne parla anche Repubblica qui. Proprio in questo momento, quindi, serve un nuovo modo per interpretarli, per renderli utili a quello che stai facendo. Questi strumenti non sono più mezzi pubblicitari, possono essere leve per aumentare il tuo valore o per creare format di prodotti e servizi immateriali che creino ulteriore ricchezza per te. Come? Beh, con l’esperienza, con il contenuto, con la condivisione della conoscenza verso il tuo pubblico. Perfino con la conversazione con il tuo cliente per sapere come sta e cosa desidera davvero da te: ecco come le reti sociali possono essere parte della tua catena del valore.

    Adesso ti conviene lavorarci

    I social cominciano a essere una piattaforma su cui lavorare. A questo proposito sto pensando, assieme ad alcuni colleghi, di creare un team di professionisti che aiuti non solo la presenza online e onsocial dei clienti, ma anche la creazione di valore grazie a questi strumenti. Come Smartphone Evolution crea consapevolezza nell’uso dello smartphone, così i miei prossimi studi e progetti dovranno creare capacità nel cliente di sfruttare i social network per creare nuove opportunità di arricchire (realmente) il suo percorso digitale.

  • Marketing e smartphone: c’è un ponte da attraversare

    Marketing e smartphone: c’è un ponte da attraversare

    Marketing, marketing, marketing: hai vinto tu.

    Non sono un esperto di marketing, ma un esperto di progettazione, consulenza e produzione di contenuti con device mobili. Se vuoi sapere cosa faccio esattamente, per chi lo faccio e come lo faccio vai qui. In questi giorni sto scoprendo molte cose nuove e mi sto arrendendo allo studio del marketing, per potenziare al massimo le possibilità di incontro tra la mia professionalità e il pubblico (piccolo o grande) che ne ha bisogno. Ecco alcune indicazioni utili per coniugare la parola marketing con la parola smartphone.

    Marketing e creazione di relazioni via telefonino

    Di marketing so poco, ma sto studiando i giganti. Come Seth Godin. Quello che mi arriva dai libri riguarda dei concetti che fanno ben poca rima con numeri, quantità, massa. La strada per interpretarlo al meglio è capirsi, capire a chi stai parlando, creare relazioni basate sul contenuto, sul valore, sulla condivisione, sulla fiducia. Il tutto per prepararsi a essere la risposta alle domande che le persone ti fanno. Il marketing di questi mesi è in netto cambiamento e si sta spogliando dei suoi meccanismi di distrazione di massa. Lo smartphone è lo strumento con cui si tesse la relazione. Una specie di ponte da attraversare per interagire proficuamente con chi ti sta cercando, con chi ha bisogno della tua unicità.

    La forza dei legami deboli

    Qualche giorno fa ho scritto un pezzo su questo nuovo social network (che tutti chiamano social, ma social non è) chiamato Clubhouse. Se vuoi leggerlo lo trovi qui. Grazie a questo nuovo ambiente virtuale ho ritrovato un concetto di cui avevo già parlato un paio di anni fa: la forza dei legami deboli. Clubhouse li porta al massimo livello, li fa diventare arte dell’incontro e della relazione virtuosa. Il primo legame debole, ma professionalmente virtuoso, per me, è arrivato a poche ore dall’entrata su Clubhouse. L’ho raccontato qui:

    Si tratta di Marina Corrente, aka Momò Social Media Marketing, una splendida professionista del social media marketing (di contenuto) con la quale svilupperò un nuovo format di consulenza. Questo è un esempio di quel ponte da attraversare che lo smartphone crea e che bisogna assecondare. Si tratta della già citata forza dei legami deboli teorizzata da Mark Granovetter, fondatore della sociologia economica.

    Un ponte che non è molto trafficato

    Il marketing, nel suo complesso, non ha ancora attraversato questo ponte di comunicazione e di interazione rappresentato dallo smartphone. Osservo con attenzione molti guru (veri o presunti) di questa disciplina e li trovo spesso a smazzare contenuti che sono “one fits for all”, uno buono per tutti. Concetto da ribaltare… completamente. Il marketing via smartphone deve lasciare a terra numeri, quantità, verità precotte e modelli buoni per tutto. Lo smartphone è un ponte di comunicazione che sviluppa relazioni “uno a uno” o “uno a pochi”, almeno nella sua nuova versione. Lì, caro lettore, cliente, professionista, comunicatore, marketer, c’è la chimica del cambiamento. E ci sono i risultati che aspetti. Non nella quantità, non nella massa…

    Marketing: forse sta succedendo qualcosa di speciale

    Clubhouse e tante altre app simili, nate per l’interazione virtuale e di valore, stanno spingendo un movimento di liberazione degli internauti. Quale? Quello che ci sta per liberare, per sempre, dai like, dai fan, dai follower, dai numeri. Il ponte non è stato attraversato, ma stiamo incominciando a farlo e questa è una ottima notizia.

  • Clubhouse: il bello di un social che non è un social

    Clubhouse: il bello di un social che non è un social

    Clubhouse: il mondo dei social è stato squassato da una nuova entrata

    Gli smartphone di tutto il mondo sono attraversati da una scarica elettrica: si chiama Clubhouse. È uno strumento social, una app che funziona solo per invito e ha un elemento caratterizzante: la voce. La struttura è di un’innovatività disarmante e riporta al centro l’interazione diretta e sincrona. È basato su stanze di conversazione che possono essere private o pubbliche, come veri e propri eventi online o come interazioni dirette. Molto interessanti anche le cose che non ci sono, ma ora andiamo con ordine.

    In Clubhouse non ci sono timeline

    Clubhouse ci libera dalla prevasività delle timeline. Se vuoi seguire quello che succede devi entrare nelle varie “room” e ascoltare, oppure iniziare una conversazione, sia essa tematica o generalista. Le stanze riproducono un ambiente virtuale nel quale un moderatore elegge a speaker determinate persone che possono essere funzionali al tema di cui si sta parlando.

    Non restare fuori a guardare dal buco della serratura, ma doverci mettere la voce è spiazzante, ma toglie il sentimento di emulazione e di clonazione cui invita un social network normale. Entri, ascolti, alzi la mano, attendi, partecipi (se ti fanno partecipare). Lì devi essere te stesso. Non ti puoi limitare a guardare, non puoi fare il leone da tastiera, non puoi sparare cavolate.

    In Clubhouse c’è la virtualizzazione dell’incontro

    Solleva vedere che Clubhouse non è schiavo dei numeri, non è figlio della quantità e dei follower. Si tratta di un luogo dove interagire, allacciare contatti, conoscere e togliere passaggi al palcoscenico dei media. Sto scrivendo questo pezzetto e da un’ora sono nella stanza di @insopportabile a sentire una bella chiacchierata su come i politici potrebbero usare questo medium.

    Beh, dovrebbero fare attenzione. Tanta, perché qui si rischia l’uno contro tutti se quello che dici non ha valore. Sono dentro la stanza è assieme a me ci sono Francesco Di Gesù (in arte Frankie Hi-nrg MC) e Saturnino Celani, due clamorosi artisti. Essere a chiacchierare con loro e sentire la loro voce, strumento con il quale entreremo nella nuova era di Internet, come ho già scritto, è emozionante. Una vera virtualizzazione dell’incontro che viene vissuta lì per lì e che dai server di Clubhouse non viene registrata (forse…). Per cui è il “qui e adesso” che conta. C’è anche la disintermediazione, i gradi di separazione tra me e le persone famose sono meno di sei…

    Dobbiamo imparare dai pischelli

    Clubhouse è anche il luogo della democratizzazione dell’interazione virtuale. Posso arrivare a un mio mito, se voglio. Con le dinamiche giuste. Già, perché è solo su invito e chi è invitato reca sul suo profilo il nome di chi lo ha invitato. Per sempre. Un garante. Una scusa per comportarsi bene, se no sputtani anche chi ti ha fatto entrare. Dobbiamo imparare dai ragazzini (nel senso dei giovani 16-25) che, nel 2020 caratterizzato dalla pandemia, hanno iniziato a vivere autentiche amicizie virtuali grazie a questi non-luoghi come Houseparty. Stiamo entrando in una mutazione dei social sostanziosa e sostanziale e Clubhouse, il quale ci ha tolto lo scroll, i fan, i like, i follower e le paranoie annesse, è il primo social della nuova generazione. Un social che non è un social per come abbiamo imparato a conoscerlo.

    Una clamorosa opportunità per comunicatori e aziende

    Clubhouse è un posto pazzesco per chi produce contenuti e per chi vuole cambiare finalmente il modo di raccontare un’azienda, un’attività, un progetto. È una stanza nella quale tutti possono entrare e sentire il valore di quello che stai dicendo, ma anche il rumore di quello che stai facendo. Con Clubhouse l’apertura per il ruolo di un comunicatore si alza di tono. Un giornalista può e deve diventare un progettista del prodotto editoriale a 360 gradi e arrivare fino al ruolo di coach dello speaker o del personaggio pubblico che ha intenzione di aprire un account e delle stanze di interazione con il pubblico. Ah… a proposito, qui non ci sono gli influencer e i loro diavolo di post sponsorizzati. Non ci sono filtri delle foto. Non ci sono foto, non ci sono scritti, non ci sono cose che restano.

    Clubhouse: posto di esperienze

    Clubhouse è un luogo dell’esperienza e della conoscenza condivisa, nel quale polarizzare la discussione diventerà estremamente difficile. Perché? Beh, per la selezione all’ingresso, per la natura sincrona dell’interazione (se vuoi parlare ci devi stare), per l’uso della voce, per il fatto che tutto avviene in quel momento e di quel momento non resta traccia. Per questo ritengo che sia un ottimo strumento per le aziende, per avere un filo diretto con il loro pubblico, per sentire parlare i loro clienti.

    Il ruolo del moderatore

    Sono le primissime ore per me su Clubhouse e, per adesso, ascolto molto e parlo poco. Sono stato invitato dal giornalista Rai, responsabile dell’area web, Diego Antonelli che ringrazio. Però già sto pensando ai contenuti e alle stanze che potrò aprire, naturalmente per Smartphone Evolution e per Algoritmo Umano. Stanze di vita e di incontro virtuale. Credo sia utile spiegare il ruolo del moderatore, per quello che ho capito. La persona che vuol creare una stanza, improvvisata o ricorrente, diventa il moderatore. Un ruolo centrale anche per il controllo di quello che può succedere. Può nominare speaker e togliere il microfono, far entrare (se è una room chiusa) e far uscire. Se il modello di business evolverà rapidamente, come credo, vedo una grande opportunità anche in questo compito, in questa nuova professione. Già, proprio quella del moderatore di luoghi virtuali.

    Quello che non va in Clubhouse

    Devo dirlo, sono stupito in positivo da Clubhouse, ma anche inquietato da alcune sue caratteristiche. Prima di tutto è a invito e questo crea divisioni nella sopcietà virtuale. No buono. Evolverà per forza. Poi, per ora, è solo per iPhone e quindi ce lo possono avere solo le persone che hanno un telefonino di quel tipo. Altra connotazione elitaria. Poi potrebbe aumentare le bubble room, quelle stanze virtuali che fanno rimbombare le proprie opinioni.

    Il pericolo dello stare tra simili

    Ci si incontra solo con gente simile, perché si entra nelle stanze che si interessano. Invece bisogna confrontarsi con il mondo, aprirsi al diverso. Poi c’è tutta la questione delle registrazioni di quello che succede: Clubhouse dice che non conserva il registrato, ma lo detiene soltanto poco tempo dopo la fine della stanza solo per eventuali segnalazioni del pubblico su qualcosa di negativo che sia accaduto nell’incontro. Sarà vero? Poco sotto, infatti, dice che conserva dati e metadati per un tempo indefinito. Ecco, bisognerà chiarire. Questo, però, è un momento di vera Smartphone Evolution. Anzi di Social Evolution.

    Ps. La foto è mia ed è la foto dell’iPhone aperto su Clubhouse e della sua posizione rispetto a quello che stavo facendo. Sentivo la chiacchierata e scrivevo. Ho cercato di intervenire, ma non sono stato abilitato a farlo. Ho sentito persone interessanti parlare, tenermi compagnia, mentre pigiavo sui tasti o bevevo il caffé. Una splendida sensazione di compagnia, di nuova relazione virtuale. Composta ed educata, mai urlata, la discussione mi ha rallegrato il sabato pomeriggio. Un buon inizio.

    Leggi anche:

    Voce e internet: rivoluzione controversa

  • Come diventare giornalista? Sperimentando

    Come diventare giornalista? Sperimentando

    Una domanda che mi fanno spesso e che non ha risposte giuste

    Se cerchi sul web “come diventare giornalista” le risposte che trovi sono figlie di un altro tempo. Sono vecchie, hanno modelli professionali che non esistono più. Il mondo dei media e la professione del giornalista hanno fondamenti che non reggono più alla velocità del cambiamento. Come diventare giornalista è una domanda che non ha risposte adeguate. Ho deciso di mettere qui la mia, proprio poco prima delle vacanze di Natale e poco prima di alcuni fondamentali cambiamenti nella mia professione di giornalista.

    Come diventare giornalista? Vivendo delle esperienze sulla propria pelle

    Sono un giornalista. Resterò un giornalista. Invece di rispondere alla domanda “come diventare giornalista” ho dovuto rispondere, pochi anni fa, alla domanda “come restare un giornalista”. La risposta che mi sono dato è: vivendo esperienze nuove. Ho studiato il mobile journalism, l’ho fatto mio. Ho cambiato strumenti lavorando solo con lo smartphone. Nel mio percorso ho conosciuto molte persone e cambiato il bacino dei miei clienti. Ho sperimentato talmente tante cose e fatto talmente tanti errori che non riesco nemmeno a contarli.

    Vivendo i cambiamenti e deragliando costantemente dai binari sui quali avevo messo il trenino della mia carriera nei 25 anni precedenti, ho trovato la strada giusta. Ho trovato nuove piattaforme, nuovi clienti, nuovi prodotti, nuovi servizi. L’ho fatto solo sperimentando, vivendo esperienze sulla mia pelle. Mi sono tagliato, mi sono sporcato le mani, sono sceso da tutti i piedistalli sui quali ero. Ho divulgato il giornalismo in un modo nuovo, ho spaccato luoghi comuni. Ho aiutato professionisti, aziende, attività a rilanciarsi. Con uno smartphone.

    Il giornalista che sono diventato

    Se devo rispondere alla domanda “come diventare giornalista” potrei dire, “diventando uno sperimentatore, un produttore di contenuti, un costruttore di relazioni tra i media e il pubblico, un mediatore sociale”. Sono diventato così. Faccio esperimenti con cadenza quasi giornaliera. Produco contenuti con il criterio e la deontologia del giornalista per chiunque. E ovunque. Creo connessioni, processi nuovi di lavoro, mediazioni della realtà. Non smetto di essere giornalista nemmeno sui social network. Non sparo opinioni, diffondo cose utili: per capire la realtà, per interpretare il futuro.

    Come diventare giornalista? Con Algoritmo Umano e col coraggio

    Nel 2020 ho scritto un libro di cui fra poco saprai. Nel 2020 ho creato Algoritmo Umano. Cos’è? La mia interfaccia digitale con il pubblico, la casa sul web del mio lavoro. Se mi vuoi leggere, passi da lì. Se mi vuoi ingaggiare passi da lì. Quello è il posto del mio lavoro e segue il progetto di una completa digitalizzazione della mia figura professionale. Ho avuto il coraggio di cambiare il limite della mia professione di giornalista e ho fatto cose che possono tranquillamente essere considerate oltraggiose dai più.

    Lo dico, mi autodenuncio e rispondo a tutti quelli che chiedono “come diventare giornalista” al web. Si diventa giornalisti sperimentando, anche cose come queste. Se clicchi su questo link troverai il mio shop di Facebook. L’ho fatto anche su Instagram. Si tratta di sperimentazione e sono ben sicuro che non venderò la mia professionalità sui social di Menlo Park dall’oggi al domani. Però è conoscenza, è novità, è interazione. Si tratta di una sperimentazione che non può non esserci nel mio lavoro di produttore di contenuti e sviluppatore di messaggi di comunicazione. Il 2021 del mio essere giornalista si presenta molto bene. Sappi che scriverò tutto quello che succede.

    Leggi anche – Il giornalista?Non conosce il suo business.

    Giornalismo: riflessioni sul futuro

  • Dirette streaming a pagamento: Facebook si butta

    Dirette streaming a pagamento: Facebook si butta

    Lo streaming è diventato il nuovo standard per andare sui social e un modo per spicciarsela con i contenuti video della strategia editoriale di media, aziende, professionisti e persone. Ok, può anche andare bene, ma è importante capire che andare in diretta è una cosa seria. Ora più che mai.

    (altro…)
  • Social media live: consigli per non sbagliare

    Social media live: consigli per non sbagliare

    Social media live: un mondo di opportunità che stiamo sprecando. Ecco perché.

    I social media live sono una grande opportunità che stiamo continuando a sbagliare in modo incredibile. Più passo il tempo sul web a osservare questi tipi di format e più mi rendo conto che li stiamo producendo, realizzando con linguaggi e modi che arrivano dal passato e che non vogliamo cambiare. Semplice il motivo: abbiamo paura. I due principali modi di fare social media live che continuo a vedere in grande quantità e che ritengo sbagliati sono questi:

    1. IL BUCO DELLA SERRATURA (O BREAKING MODEL). Schiacciamo molto spesso il tasto start del nostro social media live davanti a eventi particolarmente significativi o a notizie delle quali abbiamo la fortuna casuale di poter partecipare. Ne escono dirette senza titolo, senza spiegazione, senza grafiche, senza qualità. Sotto questa categoria posso tranquillamente annoverare tutte le dirette che facciamo dagli account personali e anche alcune di grandi quotidiani italiani che, troppo spesso, aprono il social media live in modi sbilenchi e tremolanti, solo per l’esigenza di mostrare di essere sulla notizia.
    2. IL BROADCASTING MODEL. Aziende del mondo dei media e di altri mercati propongono generalmente social media live pieni di linguaggi televisivi, di situazioni statiche o di mera riproposizione del segnale tv su un canale diverso.

    Sono entrambi modi che esprimono un linguaggio vecchio su un medium e su un formato nuovo.

    Un mini kit “mai più senza”.

    Prima di dirti come realizzare in modo differente i tuoi social media live ti metto qui un kit che puoi portarti sempre addosso, leggero ed efficacissimo. Il tuo smartphone e il kit Shure MV 88+ sono i due componenti indispensabili per assicurarti una buona qualità di filming e una buona acquisizione dell’audio. Dentro lo smartphone, poi, basterà la tua app di Facebook, Youtube o Periscope per andare live. Se vuoi, invece, aggiungere elementi come la grafica devi dotarti di app come Switcher Studio: con quella avrai a disposizione strumenti come sottopancia, titoli, diagrammi, punteggi, per poter arricchire i tuoi prodotti con elementi di netta caratterizzazione.

    Gli elementi per non sbagliare i social media live.

    I social media live sono format che risultano notevolmente arricchiti dalle tecniche e dagli strumenti della mobile content creation. Oltretutto si tratta di un’espressione creativa che ha il cromosoma della mobilità nella sua ragione d’essere, visto che raggiunge i nostri telefonini, visto che ci raggiunge mentre siamo in movimento. Ecco alcuni elementi per sfruttare a pieno le potenzialità dei social media live:

    1. SCRIVILA. Devi approntare un vero e proprio storyboard, un canovaccio da rispettare, sebbene l’imprevisto sia sempre dietro l’angolo.
    2. ARRICCHISCILA. Un ospite, molto spesso, è un elemento di qualità. Ora perfino con le app native dei social, può essere portato dentro la diretta anche da remoto.
    3. OCCHIO ALLE CRISI. Un hater, una persona che compare nel tuo quadro, un disturbatore. Preparati un piano d’uscita dagli imprevisti.
    4. MUOVITI. La staticità del programma è la sua negazione. Fai un percorso che possa essere elemento del racconto che vuoi fare.
    5. SII RIPETITIVO. Ripeti spesso gli elementi del tuo live: chi sei, dove sei, cosa stai raccontando, con chi sei.
    6. PENSALA IN MODO INFORMALE. La mobile content creation è quella cultura che ti permette di entrare nella vita delle persone in tempi e modi completamente diversi da quelli ritratti dalle telecamere. Ecco, dacci dentro e crea aprendo il live su momenti intermedi di una storia, di un evento, di un’azienda.

    La tv emette gli ultimi rantolii.

    Con questi elementi farai piazza pulita di questi metodi televisivi con i quali usiamo il social media live, negandone le qualità mobili che questo mezzo ha innegabilmente. Gli ultimi rantolii della tv e dei mezzi di massa sono un dazio che possiamo fare a meno di continuare a pagare. Se utilizzi i social media live in questo modo raccontami nei commenti la tua esperienza e cerchiamo di costruire una nuova consapevolezza su questo interessante formato visuale che utilizziamo, per ora, veramente molto male.

    Foto di copertina di StockSnap da Pixabay