Tag: social network

  • Business con le dirette social: il caso Van Achter

    Business con le dirette social: il caso Van Achter

    Dirette social: ecco come si rivoluziona una carriera.

    Le dirette via social network sono un argomento che sta attirando molto la mia attenzione in questo periodo. Sono uno strumento da proporre sul mercato se lo osservo dalla parte tua e mia, cioé quella dei produttori di contenuti freelance, ma anche una grande opportunità per aziende, professionisti, istituzioni ed enti che vogliano cogliere al volo le potenzialità di un mezzo che ancora non è stato compreso.

    Nella mia attività di divulgatore, di solito, alterno spiegazioni a incontri. Questa volta è proprio il momento di un contenuto del secondo tipo per regalarti un caso di un giornalista, produttore, “mediacker” come si definisce lui, il quale ha squadernato completamente lo spartito della sua carriera reinventandosi producer e formatore nel campo delle dirette via social e del giornalismo imprenditoriale.

    Il fenomenale live guy

    Ho conosciuto Damien Van Achter, questo il suo nome, durante la giornata de La Video Mobile 2019 a Parigi lo scorso febbraio. Dopo una carriera in diversi tipi di media, Damien ha deciso di diventare imprenditore di se stesso, di insegnare agli altri come si fa e di farlo mettendo i format in diretta al centro della sua produzione. Sul suo canale Youtube puoi vedere molte sue riflessioni e operazioni sull’argomento, ma la cosa più stupefacente è la sua capacità di invertire i punti di vista del suo linguaggio di produzione delle dirette via social. Quella che vedi qui sotto è un discreto esempio. A La Video Mobile si è “autoripreso” l’intervento in cui spiegava il suo progetto all live per clienti e media.

    Il professore matto.

    Damien Van Achter è professore “invitato” di giornalismo imprenditoriale a IHECS (Bruxelles), EFJ (Parigi), all’ISIC di Rabat in Marocco e alla CFJM in Svizzera. Abbiamo fatto due chiacchiere e mi ha spiegato bene la sua impostazione. Ha due caratteristiche che ti invito a seguire. Ha impostato (tanto da diventare insegnante della cosa) il suo giornalismo in modo imprenditoriale e ha formattato in modo particolare i suoi live. Per andare dai suoi clienti ha perfino creato un’automobile “da live” mettendo internet e alcune camere nella sua vettura. Ha girato le strade del vino d’Alsazia invitato a raccontare le storie dei produttori in diretta (con aumento del 7% del fatturato da un anno all’altro), ha creato formati e usato strumenti atipici per cambiare le situazioni nelle quali realizzava le sue produzioni. E’ un professore matto che insegna ai giornalisti come fare gli imprenditori e ai producer di contenuti come spezzare i linguaggi con cui fare i live.


    La nostra chiacchierata. I sottotitoli sono quelli in francese fatti in automatico da Youtube per cercare di capirci qualcosa in più. Non sono fedelissimi, me ne scuso.

  • Switcher Studio e Linkedin: ecco il live business

    Switcher Studio e Linkedin: ecco il live business

    Linkedin ha deciso di sbarcare nel mondo delle trasmissioni live via social.

    Si tratta di una mossa interessante e destinata a cambiare il mercato. Ecco cosa c’è dietro e, sopratutto, chi c’è dietro. Sto parlando di Switcher Studio, company americana specializzata nel live multicamera e creatrice della app più professionale che esista (almeno nel mondo iOS) per coloro che vogliano realizzare produzioni dal vivo di qualità televisiva con le device mobili. Del prodotto, la app Switcher Studio, ne avevo già parlato in questo articolo. Nick Mattingly e il suo team sono stati fenomenali nello sviluppo delle potenzialità di questo sotfware per fare dirette, ma hanno proprio cambiato il passo in questi giorni diventando uno dei partner privilegiati per le dirette “business” di Linkedin. Sta nascendo, quindi, il mercato dei “live business” per i produttori di contenuti e sembra naturale pensare che sarà diverso.

    Le parole del CEO di Switcher.

    La chiacchierata con Nick Mattingly di qualche tempo fa

    Questo video è stato registrato un po’ di tempo fa, quando è stata lanciata la versione 1.8 della app con importanti aggiornamenti. Nel periodo successivo, Switcher ha iniziato i test di diretta con Linkedin che, per il momento sono solo a inviti e utilizzabili solo negli Stati Uniti. “Siamo contentissimi – ha riferito Nick Mattingly – che Linkedin ci abbia scelto come provider del servizio live. I video in diretta stanno già cambiando il modo in cui uomini d’affari e professionisti interagiscono. Poter fare video live nel luogo dove i business si sviluppano, Linkedin appunto, gioverà molto alla cura delle conversazioni con partner e clienti”. Come saranno questi live? Beh, alcune idee le ho e sono idee che possono essere proposte come servizio a clienti corporate in modo davvero interessante. Stay tuned che ne parliamo presto…

  • La follia di Trump, il Facebook Bias e la salvezza nel mobile journalism

    La follia di Trump, il Facebook Bias e la salvezza nel mobile journalism

    Proprio in questa notte di follia di Trump.

    Proprio in questa notte in cui Donald Trump apre le trombe della sua antipolitica folle spaccando il fragile equilibrio del Medio Oriente forse per sempre (“Riconosciamo l’ovvio, vale a dire che la capitale di Israele è Gerusalemme”) viene perfetto cercare di dare una risposta all’amica Simonetta che, qualche ora fa, si è chiesta come mai il giornalismo, in particolare modo quello italiano, non funzioni più nel modo obiettivo con il quale funzionava 40-50 anni fa. Le ho promesso che avrei risposto sul blog e, sinceramente, non pensavo di essere aiutato in un modo talmente evidente proprio da quell’idiota del 45esimo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

    Trump è il prodotto di un algoritmo pagato o “diretto”.

    Bene, la malattia dei media è iniziata più o meno una trentina d’anni fa quando qualcuno ha pensato che l’informazione potesse anche essere spettacolo. Al nascere dell’ infotainment, vale a dire di quella serie di programmi e di format, ma anche di media, di siti e di riviste che coniugavano e coniugano ancora l’informazione con l’intrattenimento, sono crollate le cinque W che reggevano il sistema di un informazione corretta. Prima c’era solo il fatto, riferito e connotato, corredato al massimo di tutte le voci pro e contro una determinata situazione.

    Da quel momento in poi Trump e i suoi cloni (Berlusconi in Italia) hanno costruito un nuovo archetipo dell’informazione che ha rinunciato a quello per creare community che rappresentassero un tipo di cliente “profilato” cui destinare una certa pubblicità, piuttosto che un’altra. La neutralità dei media è diventata discrezionalità, i giornali e le tv hanno iniziato a dire da che parte si doveva stare. I Trump e i suoi cloni sono diventati prima i proprietari, poi addirittura i prodotti di un algoritmo pagato o, comunque, diretto a creare bacini e comunità di consenso.

    Con i social media è poi il “bias” è diventato parte di noi.

    I social media hanno preso possesso dell’informazione mondiale travolgendo tutto il resto e lo abbiamo visto proprio con Trump. Il nostro ha spinto sull’acceleratore del populismo usando il bias alimentato dagli algoritmi, adeguatamente allestiti o “pagati”, delle piattaforme di scambio sociale sul web. Ma che diavolo è il “bias”, diventato parte integrante nella nostra vita proprio con i social? E’ un errore cognitivo basato sul fatto che preferiamo sviluppare interpretazioni sulla base delle informazioni che abbiamo in possesso di un determinato accadimento. Il mancato approfondimento dato dalla necessità di ricevere conferma della nostra corretta visione delle cose, porta distorsioni nel campo cognitivo e falsificazione della realtà.

    Facebook ha molte colpe

    Il social che più ci attira è Facebook, perché ci mette dentro un mondo di rassicurante vicinanza a noi, appunto grazie a un algoritmo che ha il merito (o meglio il demerito) di creare un onda di bias costante. Questo crea community sempre vicine e autoreferenziali e media che hanno cominciato a intrattenere una relazione con i propri lettori o spettatori sempre più distorta. Di Facebook Bias ne parla molto bene il New York Times in questo articolo, ma è sempre più chiaro che, nella pancia del social di Zuck o delle timeline di Twitter si sia creato questo mostruoso caso di antipolitico al potere che si chiama Trump. E’ come se il buon Donald avesse prima instillato la distorsione nei media con l’infotainment, poi si fosse messo a cavalcarla, nel mare del web, fino ad arrivare, cavallone dopo cavallone, alla Casa Bianca.

    Come il bias governato ad arte può cambiare il mondo.

    Se vuoi comprendere bene cosa sia successo e stia succedendo nella politica dei social network anche questo pezzo del Washington Times aiuta molto. Anche Google e tutti gli altri mostri del web hanno le leve del condizionamento in mano e creano bias ad arte, vere e proprie distorsioni. La cosa che mi turba più di tanto è che del bias parlano in pochi, ma condiziona tutti, delle fake news (che sono sinceramente un problema del cazzo) parlano in tanti e condiziona pochi. Un bias può cambiare il mondo per sempre, basta vedere la pazzesca operazione di cui ho parlato all’inizio che, stasera, non farà chiudere occhio soprattutto agli americani, ben consci della gravità delle azioni di governo di questo folle che è Donald Trump.

    Questa distorsione dei media, basata su errori cognitivi collegati alla necessità di essere rassicurati e accondiscesi, all’interno di community autoreferenziali come le nostre comunità social, è la grande malattia di oggi che deve essere guarita con un antidoto. Quale? La ricerca della diversità, della moltiplicazione delle voci, del ritorno dei campi e dei controcampi, dei punti di vista a 360°, dell’immersione esperienziale nei fatti e non nell’angolo guidato da una telecamera.

    Qual è la possibile salvezza?

    Stiamo raggiungendo livelli di disordine nel mondo pari ai tempi della guerra fredda o peggiori. Queste distorsioni sono all’ordine del giorno e ci impongono di essere attori della corretta informazione. Il mobile journalism e la sua capacità di far vedere più lati di un fatto con estrema facilità è un antidoto importante, ma è ancora più importante la formazione di una cultura digitale coerente che diventi al più presto materia del nostro vivere corrente e delle nostre scuole. Contro la distorsione delle comunità social nelle quali viviamo, le quali danno ragione al nostro pensiero senza metterlo in discussione, dobbiamo cercare la diversità, costruire la diversità, amare la diversità. Solo così ci potremo salvare da Donald Trump e da tutte quelle stanze dei social network che ci danno ragione. Mio figlio non ha bisogno di avere ragione, mio figlio ha bisogno di visione multipla della realtà. E io gliela darò. Voi?

    Simonetta, spero di averti spiegato come mai l’informazione è morta. E’ tutto scritto qui. Anche se forse c’è una cosa che non ti ho detto: in Italia c’è qualcosa di peggio che è l’impoverimento dei media nazionali che si seguono l’un con l’altro per paura di non avere l’uno le notizie che ha l’altro. Sai cosa succede alla fine? Che sono tutti uguali a Repubblica.it del giorno prima o di qualche ora prima. Quindi in Italia manco abbiamo solo il problema del bias, ma anche il problema di un intero mondo dell’editoria che si copia e si parla addosso, spesso dandosi ragione. Facendo morire la coscienza intera di una nazione.

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