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  • Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest: una convention ridotta all’essenziale.

    In questi giorni gli esponenti della cultura della mobile content creation sono rimasti piuttosto preoccupati dalla mancanza di notizie su Mojofest, la nuova creatura del capo della Mojo community mondiale Glen Mulcahy. L’ex capo dell’innovazione di RTE, divenuto imprenditore con Titanium Media, sta lavorando da mesi a una edizione indipendente della manifestazione che negli scorsi anni aveva visto riuniti anche un migliaio di delegati a scambiarsi informazioni e cultura sulla mobile content creation, sostenuti da sponsor e da un patrocinatore di grande valore come il broadcaster di stato di Dublino.

    Da poche ore, esattamente da ieri a mezzogiorno, sappiamo che dobbiamo abbandonare i fasti del passato perché molte delle aziende coinvolte nelle passate stagioni non hanno confermato il loro supporto. Di conseguenza Mulcahy ha annunciato ieri i criteri di progettazione, soprattutto finanziaria, per sostenere il peso della manifestazione. Criteri rivisti all’osso, per una convention che, dal 29 al 31 maggio 2018, sarà ridotta all’essenziale.

    Cosa è successo esattamente?

    Ecco, rispondo a questa domanda, innanzitutto. C’è chi si sarà fatto prendere dallo sconforto, ma questa “riduzione” in corsa di Mojofest è, a mio avviso, una ottima notizia. Andiamo per gradi. Glen Mulcahy, nei 45 minuti e passa di diretta nel gruppo di Mojocom nel quale annunciava il cambiamento del modello della convention, ha sostanzialmente rivelato la difficoltà di allestire discorsi con le aziende da “imprenditore indipendente” rispetto a quando aveva dietro le spalle il colosso televisivo. Poi ha ammesso anche che è stato poco efficace il timing del periodo di lavoro in cui si è messo a progettare Mojofest 2018 perché i colloqui con le firm del mondo mobile sono iniziati in gennaio per fine maggio. Probabilmente in quel momento i budget pubblicitari e di marketing per le aziende grosse erano già partiti, stoccati.

    Cosa è cambiato e cosa cambierà

    Il modello di Mojofest, quindi, è diventato molto diverso da quello dei precedenti anni. E’ tornato alle origini e si baserà, tuttavia, sulla cura dei contenuti a discapito dell’ambientazione, dei benefit, delle possibilità. L’organizzatore ha deciso che punterà tutti i suoi sforzi sull’allestimento della tre giorni sotto il profilo editoriale, ma, per dirla schietta, il panino ce lo dovremo portare da casa. E’ un ritorno al centro della cultura mojo a dispetto di un allestimento “televisivo”. Ebbene, vi rassicuro tutti.

    Non è per questo motivo che la cultura della mobile content creation avrà meno fortuna o morirà. Anzi. Si sta, invece, stagliando un modello mojo anche nell’allestimento di una convention che rischia di essere ancora più viva e attiva e impattante nelle carriere di chi ci andrà rispetto alle precedenti. E’ cambiato il modello, quindi: si parlerà molto di cultura, di novità, di linguaggi, di giornalismo, di creatività, di tecnologia, di social, di brand journalism, di cinema e di storytelling e, attorno, non ci saranno fronzoli.

    Come puoi dare una mano?

    Nel modello mojo di Mojofest 2018 c’è molto da scoprire, forse anche per trarne insegnamento. Intanto è uscita una pagina di Patreon per sostenere con offerta mensile la manifestazione: la puoi trovare esattamente a questo link. La prossima settimana andranno online i biglietti sul sito della manifestazione che è esattamente questo. Da quel momento in poi si cominceranno a sapere i programmi, gli speaker e tutto il resto. Puoi dare una mano mettento mano al portafoglio e facendola mettere, spargendo la voce di un progetto che avrà comunque uno straordinario impatto. Forse proprio perché ha cambiato il suo modello in corsa affidandosi alla forza di una community.

    Galway, se ci vieni, ti cambierà la vita.

    Concludo con concetti molto semplici e con una visione prospettica. La community mojo e la cultura della mobile content creation hanno cambiato la mia carriera e forse anche la tua per due motivi semplici. Rappresentano il futuro della professione e uno strumento (e qui parlo della comunità) nel quale la forza è la condivisione gratuita della cultura. Sono sicuro che la manifestazione di Galway, cui parteciperò, mi darà e ti darà (se vuoi venire) informazioni, suggestioni, suggerimenti e dritte in grado di cambiare la rotta del tuo lavoro e di riempire il tuo portafoglio. Come? Dando  e ricevendo una cultura nuova che, a questo punto, si sostiene da sola e fa dipendere il proprio cammino solo dalle sue forze. Dalle forze di un gruppo di persone sparse per il mondo che si scambiano valore gratuitamente.

    Ti dico quello che farò io.

    Proprio grazie a questa svolta, la quale a mio avviso libera questa cultura, credo che moltiplicherò gli sforzi per fare in modo che la mobile content creation abbia la dignità di materia accademica e la visione di un nuovo futuro per tutte le professioni dei media e visuali. Ma anche delle altre. Continuerò a regalare materiale, consigli, a fare eventi, corsi, a rispondere alle telefonate, per consigli, dritte, suggestioni, libri. Continuerò anche a seguire il progetto del corso mojo nelle scuole di giornalismo e ad aiutare tutte le aziende che vogliono diventare “mobile” nel loro modo di esprimersi all’esterno. Solo mettendo un mattone dopo l’altro si fa la casa di una nuova cultura. Io continuo, tu xche fai?

  • Giornalismo digitale: le redazioni sono pericolosamente indietro

    Giornalismo digitale: le redazioni sono pericolosamente indietro

    Giornalismo digitale: una fotografia abbastanza impietosa.

    Per fortuna l’Italia non è la “pecora nera” del ritardo della digitalizzazione delle newsroom di tutto il mondo, ma in ogni caso non c’è da stare allegri. A fare “lo stato dell’arte” del giornalismo digitale mondiale ci ha pensato in questo periodo l’International Center for Journalist, un’istituzione americana che dal 1984 sviluppa la cultura della professione giornalistica connessa all’innovazione.

    ICFJ ha collaborato con altri enti di livello internazionale come Georgetown University o la Knight Foundation, ma anche con grandi firme del mondo tecnologico come Google, Survey Monkey, Storyful o Twitter, per cercare di comprendere l’avanzamento verso la digitalizzazione completa delle newsroom di tutto il mondo. Pericolosa la fotografia che è uscita dal lavoro accademico. Una fotografia che tutti dovrebbero leggere e che parla di una situazione di resistenza quasi strutturale al cambiamento.

    Una prima assoluta.

    L’International Center for Journalists, organizzazione con sede a Washington e con collaborazioni strutturate come la Knight Foundation, ha realizzato una “prima assoluta” promuovendo la ricerca “The State of Technology in Global Newsroom”. L’obiettivo è stato cercare di comprendere, grazie a un board di ricercatori di primo livello, a che punto sia la trasformazione digitale del lavoro tuo e mio. Già che sono ringrazio subito la bravissima collega australiana Corinne Podger per avermi dato lo spunto e la possibilità di trovare questo documento che ha messo a nudo le resistenze di una professione al futuro.

    Nelle 77 pagine della survey l’ICFJ tratteggia un mondo in cui, tanto per dirne alcune, nelle newsroom solo il 5% ha degli studi tecnici alle spalle, mentre il 2% viene assunto prendendolo dal mondo del digitale. Solo l’1% degli addetti nelle newsroom è un analytics editor, mentre è particolare anche la percentuale dei manager delle newsroom che sono per il 64% preparati sotto il profilo digitale, contro il solo 45% della forza lavoro dei giornalisti che dirigono. Insomma, di digital ne sanno più i capoccia di quelli che dovrebbero essere gli interpreti del giornalismo digitale.

    Parliamo di fake? Parliamone dai..

    Ecco la cosa davvero brutta o, perlomeno, quella che a me sembra la peggiore di tutte. Dalle indagini statistiche svolte per “The State of Technology in Global Newsroom” pare che solo l’11% usi dei tool di verifica delle notizie fra tutti i giornalisti sentiti per l’indagine. Assurdo, ma vero. Vogliamo parlare di fake news? Facciamolo dai, però prima raccontiamo questa percentuale..

    L’eredità di Tom e Liebe…

    Il documento è l’ultima frontiera per fotografare il cambiamento delle newsroom che sta avvenendo con lentezza e con un filo di malavoglia, se non addirittura di desiderio di non procedere verso il futuro. Una situazione assurda per una professione che viene giornalmente ridimensionata e ridicolizzata dalla velocità con la quale cambia il mondo che le gira intorno. E’ un documento di valore eccezionale, una ricerca che fa riflettere molto e, probabilmente, è il lavoro più coraggioso dell’istituzione nata nel 1984 in un ufficetto dal desiderio dei coniugi giornalisti Tom e Liebe Winship.

    Lui pluripremiato Pulitzer del Boston Globe, lei titolare della famosissima rubrica “ask Beth”, alla fine della loro carriera hanno deciso che la loro missione era condividere la cultura del giornalismo in tutto il mondo. In 33 anni hanno fatto i “disastri” entrando in contatto con 100 mila professionisti di questo settore in 180 diversi paesi. Ecco, comunque, lo strepitoso lavoro di cui ti ho parlato e che ti dovresti “bere” al volo. Buona lettura.

    The State of Technology in Global Newsroom.

  • Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: il mojo arriva più vicino.

    Il mobile journalism sta destando sempre maggiore interesse a livello accademico, ma faccio subito una precisazione: molto in giro per il mondo, molto poco in Italia. Agli inizi di luglio, a firma Panu Karhunen, giovane e talentuoso mobile journalist finlandese, è uscita una ricerca molto dettagliata sull’efficacia del mobile journalism nella costruzione di reportage di news e di MOS, Man on street. Promossa dall’Università di Oxford, nell’ambito di una Reuters Institute Fellowship, sponsorizzata dalla finlandese Helsingin Sanomat Foundation, la research è un lavoro straordinariamente interessante sulla materia in generale e sulla sua “penetrazione” nella notizia in particolare.

    Un patrimonio di grande importanza.

    Karhunen è andato in profondità nell’argomento, intervistando i più grandi interpreti della storia del mojo (più uno scappato di casa, me!) e regalando alla cultura del mojo un lavoro che deve diventare patrimonio di tutti i mobile journalist. Panu mi ha molto gentilmente girato una copia di questo documento, in pieno spirito di condivisione del sapere, cosa che si fa d’abitudine nella community internazionale dei mobile journalist, ma non in Italia.

     Ecco il documento.

    Leggilo, condividilo, se sei uno studente di giornalismo portalo al tuo professore e chiedi di parlare di questa materia. Io sto divulgando la materia in italiano, ma non ho “orti” da tenere: la cultura del mobile journalism è di tutti e chi vuole capire capisca. Guarda qui sotto per goderti il lavoro di Panu Karhunen. Buono studio.

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