Tag: wearable journalism

  • Mobile journalism? Morto. Ecco il wearable journalism.

    Mobile journalism? Morto. Ecco il wearable journalism.

    lol mobile journalism è morto, finalmente. Provocazione? Si, provocazione.

    Tuttavia la frase non è lontana dalla realtà. Tutto sta per cambiare proprio a partire dal 2019 e a beneficiarne sarà ancora la mobile content creation. In questo articolo connetterò alcuni puntini di avvenimenti accaduti nelle ultime ore e sottometterò alla tua attenzione alcuni pensieri collegati agli ultimi fatti. Ecco il primo.

    Gli Spectatles 3

    Sono stati presentati ieri e hanno ricevuto una valanga di critiche, basate sul sostanziale insuccesso delle prime due edizioni. Gli spectacles sono gli occhiali dotati di telecamera full hd che Snapchat considera come la testa di ponte di un mercato che sta per esplodere, ma non è ancora esploso. Creano video da 15 secondi e anche foto che, con un collegamento wifi, possono essere riversati nella app di Snapchat per essere utilizzati in modo diretto o esportati per essere utilizzati in altre situazioni.

    Gli Spectacles, invece, sono il simbolo di un’evoluzione che sarà importantissima per quanto riguarda la mobile content creation che potrei ridefinire come wearable content creation. Questa terza edizione ha 2 camere hd, 4 microfoni, filtri in 3d ed effetti grafici con la realtà aumentata inseribili nei propri shot. Non si può dire che siano ancora un gadget, ma sono diventati una macchina di produzione di un linguaggio visivo che può scardinare ancora la grammatica visuale che conosciamo.

    Smartphone? No, ponte.

    Gli Spectacles sono uno dei tanti hardware che si collegano allo smartphone usandolo come destinazione del file semilavorato e luogo nel quale il file viene trasformato in un lavoro definitivo. Lo smartphone come lo conosciamo noi mobile content creators, quindi, è morto e sta per diventare il computer che esprime la sua potenza di calcolo per mettere insieme i contenuti prodotti con altre device. un ponte tra l’acquisizione di immagini e la pubblicazione.

    State attenti al mercato degli wearable, perché sarà una guerra e si baserà molto sull’interazione con lo smartphone. Cito a memoria. La Microsoft con le Hololens, la Apple con i suoi glasses che sono in lavorazione, forse anche Google con il progetto Glasses che ha nel cassetto: tutti questi progetti sembrano essere ancora in pista e destinati certamente a influire sulla mobile content creation in ambito creativo e di giornalismo. Sta nascendo, infatti, il wearable journalism e ha un futuro e un profeta, Yusuf Omar.

    Il wearable journalism.

    La possibilità di filmare con telecamere attaccate al corpo, le quali riproducono la visualità dei nostri occhi, acquisendo un audio di qualità (veramente sono stupito da questo aspetto degli Spectacles) cambia tutto il mondo dei nostri video. Con editing lineare possiamo creare video che sono esperienze, possiamo guardare quello che guarda chi sta facendo il video e ci sta raccontando una storia.

    Se guardate anche il prodotto di Trendloader capirete che si può perfino fare livestreaming da quel punto visuale e quindi ogni limite cade. Su Indiegogo già fioriscono prototipi di wearable camera e di altri tipi di dispositivi che si possono indossare, in un mercato molto vivo, ma anche molto pericoloso (molte le startup che propongono un hardware che poi non riescono a realizzare per difficoltà tecniche). Comunque è sicuro che il momento che stiamo vivendo è quello della nascita del wearable journalism e dell’arretramento dello smartphone al ruolo di computer.

    Il profeta, Yusuf Omar.

    Il mobile journalist visionario Yusuf Omar, co fondatore di Hashtag Our Stories, è il profeta del wearable journalism. Ci lavora da quando sono usciti gli Spectacles prima edizione e, ora che la sua start up è dentro la galassia Snapchat, ha cambiato il suo modo di fare video in senso totalmente wearable. Con i suoi shot racconta giornate normali e storie importanti, facendo vivere a chi guarda le sue stesse emozioni, quasi fisiche. Seguitelo con attenzione, sta dettando la linea del futuro del giornalismo trasformando ogni hardware nel messaggero di un nuovo linguaggio con cui costruire le storie per immagini.

    Ho scoperto la Opkix e altre storie.

    La Opkix è una wearable camera con memoria da 4 giga che può essere vestita con diversi accessori, dall’anello alla collana, dal petto al cappello. Forse è questo il prodotto simbolo del “wejou” (possiamo chiamarlo così?) il quale ha altri modi per esprimersi come la Front Row Camera. Siamo solo agli inizi di questa disciplina, ma è già chiaro che la mobile content creation sta continuando a fare grandi passi avanti per cambiare costantemente il linguaggio del video e avvicinarlo alla cattura della realtà per come noi la vediamo. è il passo prima della realtà virtuale o aumentata, mondo nel quale verremo immersi presto. Sei pronto? Ti guido io.

    Foto di copertina di Pixabay

  • Giornalismo: con il mojo si moltiplicano i punti di vista

    Giornalismo: con il mojo si moltiplicano i punti di vista

    Giornalismo in carca di nuovo linguaggio.

    Io insegno mobile journalism, scrivo di mobile journalism, vivo di mobile journalism. Tutti i giorni che dio manda in terra metto le mani sulle potenzialità di questa nuova cultura della mobile content creation che cerco di incastonare nel mio modo di fare giornalismo. Parto da un dato di fatto: il giornalismo ripete in modo sistematico e, a questo punto della tecnologia, erroneo, schemi che ormai non fanno rima con i mezzi di comunicazione di oggi.  Vedo a ogni angolo delle mie ricerche di notizie o di informazioni, cliché della tv ripetuti sui siti, linguaggi sei social sdoganati sui giornali, format tv fotocopiati sul web, format del web riadattati alla tv. Una corsa matta e disperatissima alla ricerca del pubblico che cambia, della popolazione giovane, dei disillusi dalla tv che oggi sono tutti su Netflix.

    Nessuno sembra farsi la domanda giusta.

    Già, per quanto riguarda il nuovo giornalismo nessuno sembra farsi la domanda giusta che penso possa suonare più o meno così: come si può cambiare? Ho consumato centinaia e centinaia di ore a cercare, leggere, pensare a un nuovo modo di fare giornalismo anche per me. Non credo che la strada sia facile, perché vengo da lontano, ho una cultura vecchia e “costumi” oculari consolidati. Non credo sia facile anche perché i nuovi strumenti che provo sono molto distanti da me, quindi tutti da imparare e da vivere. Se non sono distanti dal mio giornalismo, sono magari “doppioni” del mio linguaggio visivo.

    Il messaggio di Yusuf Omar colpisce ancora.

    Detto con sincerità, ci sono pochissimi punti di riferimento che stanno cambiando il paradigma del futuro del giornalismo. Anche stasera non mi sposto molto da quelli che ho indicato qualche tempo fa in questo articolo. Tuttavia devo ancora una volta fare menzione dell’amico Yusuf Omar e del suo progetto HastaghOurStories. Yusuf è il solo al mondo che sta ribaltando tutti i linguaggi possibili e facendo del giornalismo moltiplicato dai diversi punti di vista una grande missione sociale. E’ un uomo in grado di cambiare il mondo e di dare voce al mondo con un telefonino e qualche altro aggeggio tipo un drone.

    Giornalismo multipoint: unica strada possibile.

    La moltiplicazione delle voci e dei punti di vista è la sola maniera per rinnovare il linguaggio del giornalismo che si è consegnato ai soldi e al potere. Per farlo Yusuf usa tecniche di wearable journalism, di mobile journalism, di drone journalism e mixa, facendo campo e controcampo di ogni notizia, messaggio, voce. Nella sua missione più sociale, invece, usa il mobile per dare voce a chi non ha voce: l’ho visto coi miei occhi andare a cercare gli homeless di San Francisco. Insomma, il giornalismo deve tornare a informare le persone mettendo una camera (o uno smartphone o una snap cam o degli spectacles o quello che vuoi tu) per far vedere la realtà da ogni angolazione.

    Io sono ancora ai primi test.

    Seguendo un punto di riferimento come Yusuf ho deciso di procedere con tre campi nuovi rispetto al giornalismo classico. Il primo è quello del giornalismo immersivo, sul quale ho fatto già qualche mese fa i primi test, il secondo è quello del wereable journalism, il terzo è quello del drone journalism. Sto provando, sto testando, sto iniziando a imparare una grammatica che è sconosciuta anche ai massimi esperti, come quella dei video a 360 gradi. Anche il wereable journalism, per dirla papale papale, il giornalismo fatto con le camere che si mettono addosso, può avere un grande sviluppo, aldilà dei clichet soliti del giornalismo investigativo.

    Può essere fatto anche semplicemente per far capire diversi punti di vista. A me è capitato di provalo e di capirlo mettendo una camera portabile sul petto di mio figlio di 5 anni. Questo risultato è un test, ma pensa se dovessi pensarlo in chiave giornalistica per far comprendere tutti i passaggi del vivere civile o di una città nei quali essere basso come un bambino di 5 anni è faticoso. Scopriremmo insieme, io e te, che mettersi addosso una camera è far cambiare a tutti punto di vista. Ritornando al centro del giornalismo. Vuoi scommettere?