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  • Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

    Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

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    Faceblock: il primo sciopero anti Zuck va in scena.

    Quello che irrita la rete, più degli scandali come quello di Cambridge Analytica o la porcata che ho descritto io in questo link, è la faccia da “bue contrito” di Mark Zuckerberg. Sto scrivendo questo pezzo mentre il bimbo d’oro dei social mondiali è in audizione al Senato Americano. Ha una faccia da cane bastonato e si scusa ogni due per tre, anche se ammette candidamente che sono gli utenti di Facebook a consegnare incondizionatamente al mostruoso social i loro dati. Quella è la cosa che fa incazzare i suoi 2 billions di utenti: si scusa…

    Non è possibile che se la cavi con delle scuse, può fare meglio. Per questo motivo, con questo semplice assunto è nato e va in scena oggi #Faceblock, movimento spontaneo che sta cercando di convincere la rete, oggi 11 aprile, proprio nella notte in cui Zuck è impallinato dal Governo americano, a non usare per 24 ore il social network di Menlo Park. Insomma, Faccialibro sta attraversando la peggiore crisi della propria storia e non riesce a venire fuori dall’angolo in cui è finito dopo lo scandalo dei profili falsi e della vendita dei dati.

    La question più importante.

    “La domanda sui dati è quella centrale – dice il prode Zuckerberg proprio in questo istante -. Quando le persone vanno su Facebook per connettersi con altri devono rendersi conto che, una volta entrate, noi riceviamo i contenuti e li utilizziamo per rendere loro un servizio. Comunque loro controllano quando postano e quando cancellano i contenuti (mi viene da dire, ma durante? Nda)”. Come dire, i dati ce li date voi. E come dire: voi controllate quanto caricate e quanto togliete una cosa, ma nel frattempo la gestiamo noi… Beh inutile negarlo.

    La tecnica diversiva.

    Zuck è sotto il fuoco di fila dei senatori della Commissione Energia e Commercio del Senato Usa da qualche ora e sta rispondendo a domande con domande o con spostamenti dell’asse dell’argomento. Viene una voglia matta di aderire a Faceblock quando viene pressato sulla gestione dei dati e della corretta richiesta di permesso esercitata da parte di Facebook e sostanzialmente non risponde, rilanciando con un “non vedo l’ora di metterle a disposizione, Senator, il mio team per lavorare su quello che lei sta dicendo”. Viene da dire, quindi, che non è chiaro e protettivo nei confronti dell’utente Facebook quello che può fare affinché non siano venduti in giro i suoi dati o non sia creato condizionamento nel contesto dove vive da milioni di finti profili che esercitano pressioni e condizionamenti ambientali per motivi politici.

    Faceblock avrà un discreto successo.

    Due considerazioni. Faceblock avrà un discreto successo perché l’umanità sta cominciando a comprendere le distorsioni dello straordinario social network inventato dal giovanotto Zuck. Ha compreso che ci vuole molta attenzione a non farsi chiudere dentro una realtà che non faccia altro che rimandarci la fotografia di quello che i nostri occhi vogliono vedere, non di quello che vedono. Faceblock avrà un discreto successo anche perché la gente ha capito, proprio con Cambridge Analytica, che può essere volgarmente venduta come un prodotto. Fin nei propri snodi più personali. Spero, va detto, che la gente faccia il suo Faceblock anche per uscirne depurata.

    Spero, infine, che i mobile Journalist facciano #Faceblock per capire, alla fine del rehab, come è il caso di rientrarci e perché è il caso di farlo. Quello che ti consiglio è di valutare, magari prendendoti il tempo per respirare proprio non postando per un giorno, come devi tornare a essere presente sul social network di Menlo Park. Mi piace molto l’idea di fermarsi per far capire a Zuck e alla sua banda che l’hanno fatta veramente grossa e che la devono smettere di trattare 2 miliardi di persone comune fossero dentro un grande acquario nel quale possono essere pescate e messe in padella come merce da mangiare dal primo che butti la canna.

    I mojoer devono andare… e tornare: con qualche social in più.

    Io Facebook lo userò anche domani per monitorare quello che sta succedendo e anche per osservare, da ricercatore e da studioso dei fenomeni social, come si comportano gli utenti italiani con Faceblock e quanto comprendono di quello che sta capitando. Sono convinto, comunque, che la grande fuga da Facebook è già iniziata, ma per i mojoer non sia proprio il caso di muoversi da un posto dove ci sono 2 miliardi di persone vogliose di sapere come gira il mondo. E’ compito dei giornalisti spiegarlo, con i mezzi e con i modi delle comunità social.

    Infine con l’aspettativa legittima di far smettere questo monopolio social del caro Zuck. Come? Ok te lo dico: fossi un semplice mojoer e non uno studioso, oggi impiegherei tutto il giorno e per cominciare a fare altri progetti editoriali su altri social. Per fare in modo che la mia vita digitale, il mio brand personale e la mia storia professionale non dipenda più da un solo medium. Altrimenti sei fritto. Messaggio finale, quindi: Faceblock è da fare, ma per tornare il giorno dopo i su Facebook a vedere cosa è successo.

    Qualcosa, sicuramente, succederà.

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  • Facebook: cambia algoritmo, meno news e più mobile journalism

    Facebook: cambia algoritmo, meno news e più mobile journalism

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    Facebook cambia algoritmo: una splendida notizia (anche se tutti pensano il contrario)

    Hai letto bene, che Facebook cambi algoritmo e lo faccia privilegiando il giro degli amici rispetto ai contenuti che arrivano da entità seconde o terze rispetto a noi, è una notizia pazzesca in positivo che, a una prima lettura, suona come il de profundis del mondo dei media che si sono occupati di eseguire reiterate genuflessioni al gigante di Menlo Park in questi periodi. Effettivamente son qui che picchio sui tasti e ridacchio pensando ai numeri di traffico dei siti e alla loro drammatica contrazione nei prossimi giorni, almeno per quanto riguarda l’arrivo di click regalato dagli amici di Faccialibro con copiosa generosità in questi anni. Mi vien da dire? Cosa faranno ora i media? Si, voglio proprio chiedermelo, ora che Facebook gli ha dato il benservito.

    I media devono svegliarsi.

    Ecco, adesso che non c’è mamma Facebook voglio davvero capire dove minchia vanno a parare siti, giornali e televisioni di mezzo mondo, dopo aver fatto traffico senza sporcarsi le mani per farlo. Penso che sarà il caso, per loro, di ricominciare a fare prodotti editoriali di qualità e sostenibili, format profondi, innovativi, fatti di esperienza sul web, se appena, appena vogliono riprendersi un pubblico. Lo penso e lo dico perché se non sarà così, Facebook razzierà il mercato dell’utente “permanente” ancora di più chiudendo i suoi due miliardi di avventori nelle bolle autoriferite delle loro cerchie. Con l’obiettivo di non farli più uscire da li. Ti ricordo (e l’ho scritto nell’articolo che puoi leggere qui) che Facebook sta lanciando Watch e sta entrando nel mercato degli hardware per la visione dei suoi contenuti.

    La più grande media company del mondo.

    Facebook è il più grande spacciatore di video del mondo ed è la più grande media company del mondo. Adesso vuole i suoi adepti intenti a stare seduti a passare i pop corn ai parenti, mentre ti propone quello che dice lei: vale a dire chi paga o chi fa parte del circo scelto dal giro Watch o simili. Vedrai che andrà così. Siccome la più grande media company del mondo è anche una delle più ricche aziende del pianeta, chi si stupisce del movimento di questo algoritmo, le cui nuove funzionalità sono sotto test dallo scorso ottobre, è una verginella che scende dalle montagne del sapone. Sono disposto a rischiare il mio braccio sinistro che andrà così, ma ci sono un paio di risvolti molto interessanti.

    Tanti giornalisti, pochi editori.

    Boh, non so se l’ho detto o l’ho scritto qui su queste colonne, ma lo riscrivo. Sogno un mondo pieno di giornalisti e senza editori. Ecco, con la svolta di Facebook più dedito alle sue bolle (echo chambers, per dirla come quelli fighi), ci sarà lavoro per i mobile journalist come mai ce n’è stato prima. Anzi potrebbe esserci proprio una nuova categoria di giornalisti, vale a dire quella che dovrà interpretare, dentro queste community, il ruolo di chi deve far comprendere la realtà. Mi spiego meglio e dico che i giornalisti avranno il compito sempre più importante, nelle loro comunità di Facebook, di rappresentare la corretta informazione e di invitare a uscire dalle bolle. Come? Con la conversazione. Estraggo due passaggi di un pezzo di Jeff Jarvis su Medium. Molto interessanti:

    I wish that Facebook would work with journalists to help them learn how to use Facebook natively to inform the public conversation where and when it occurs. Until now, Facebook has tried to suck up to media companies (and by extension politicians) by providing distribution and monetization opportunties through Instant Articles and video. Oh, well. So much for that. Now I want to see Facebook help news media make sharable journalism and help them make money through that. But I worry that news organizations will be gun-shy of even trying, sans rug.

    Il giornalismo è conversazione, te lo ricordi?

    Questo il primo contributo di Jarvis, preso da un articolo che riporta in auge il fatto che il giornalismo, in questo momento, è diventato una conversazione. Allora dobbiamo conversare. Se poi Facebook dice che abbiamo a disposizione le nostre bolle per farlo e per ingenerare una nuova cultura, beh, allora abbiamo anche il campo di conversazione. Già, perché il lavoro del giornalista, proprio nella definizione di Jarvis, esce un filo diverso dal consueto cliche che eri abituato a vedere finora. Ecco la definizione, adattissima per i mojoer stante l’agilità dello strumento.

    My new definition of journalism: convening communities into civil, informed, and productive conversation, reducing polarization and building trust through helping citizens find common ground in facts and understanding.

    Si possono anche fare affari.

    Se il nostro nuovo lavoro sarà questo, beh allora posso dire che il nuovo Facebook ci mette nelle migliori condizioni per poterlo fare e per farci anche qualche soldino onestamente. La creazione delle comunity attorno a noi sarà molto importante e ci sono i metodi per renderla profittevole. Con il mobile journalism, poi, ci sarà da trottare per raccontare le storie di chi non ha voce.

    Faccio un ultimo passaggio prima di chiudere. Si paventano scenari gotici dell’aumento dell’importanza delle fake news, nonostante la riduzione del numero che provocherà il cambiamento dell’algoritmo. Contro questo c’è solo la cultura, ma anche l’idea di poter prendere, finalmente, sul serio quello che è un social network come quello di Menlo Park. Un moltiplicatore di relazioni che crea valore se gli si consegna valore.

    Solo le aziende sveglie sopravviveranno.

    I miei amici agenti immobiliari spero lo comprendano presto visto che proprio nelle loro cerchie, piene di legami deboli, c’è il cliente che gli darà un mandato a vendere. E con un video lo farà più voltentieri.

    Dico questo come spero anche che le aziende comprendano presto che se Facebook non è più gratuito loro dovranno imparare a dialogare con i loro clienti in modo diretto scambiando valore e calore. Già, perché solo così si è visti senza aggiungere denaro. Altrimenti si tace e si paga: Facebook non è una onlus. In questa ottica per i mojoer brand journalist c’è trippa. Tanta.

    Concludo con una frase del Fatto Quotidiano, strepitosa:

    L’ultimo aggiornamento del News Feed ci ricorda che i social network per sopravvivere devono restare luoghi di conversazione tra persone. Le aziende che riusciranno a umanizzarsi si inseriranno in questa conversazione per trarne i frutti, senza disturbare. Tutte le altre resteranno a piangere sui cambiamenti di Facebook, dimenticando che in casa degli altri non si comanda. Al massimo si ringrazia per l’ospitalità

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